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 L'UOMO E LA NATURA: SCIENZA CULTURA ED ETICA
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theco
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Inserito il - 24 settembre 2008 : 13:27:02 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Vorrei presentarvi e discutere con voi i contenuti di un veloce e affascinante libretto di Aldo Schiavone dal titolo ‘Storia e destino’, edito da Einaudi nel 2007, che non dovrebbe mancare sulla scrivania di ogni appassionato di cose naturali. Le idee di cui vi parlerò non è detto che corrispondano esattamente ai miei pensieri, però le ho trovate stimolanti e seducenti; poiché ho desciso di ‘raccontarvelo’, anche se cercherò di utilizzare metafore e citazioni dell’originale, non potrò fare a meno di inserirci del mio, quindi invito le persone interessate a leggersi il testo originale.

E’ probabile che finirò per scrivere un bel po’ e questo mal si adatta allo stile comunicativo del forum, portate pazienza, magari leggete le cose un po’ per volta… vedrete che ne vale la pena. Si può entrare nelle idee di Schiavone attraverso molte vie, quella che vi propongo io è la chave di lettura sull’evoluzionismo.

Evoluzionismo dunque… tolgo subito di mezzo, già nella premessa, la questione rappresentata dal creazionismo, di moda in questo periodo e per altro già discussa in altri topic. Per quanto mi riguarda si tratta di una teoria dai contenuti esclusivamente ideologici… insomma una questione buona per chiacchiere da salotto. Io sono credente, ma cerco Dio in praterie ben lontane da quelle scientifiche.

Detto ciò mi corre però la necessità di fare un’altra premessa, che temo sarà molto meno condivisa della precedente, anche se oso sostenere che, in fondo in fondo, non ne sia molto diversa.
Lo farò partendo da una frase di Giambattista Vico: “L’uomo, per indiffinita natura della mente umana, ove questa si rovesci nell’ignoranza, egli fa sé regola dell’universo”.
Come dargli torto: l’uomo, non conoscendo la struttura dell’universo aveva collocato la terra nel suo centro; ignorando la struttura evolutiva dei viventi aveva collocato se stesso al centro della vita; ignorando la molteplicità del sapere colloca tuttora le proprie idee (o il proprio campanile) al centro della verità, e così via.

Fin troppo facile sottolineare come la Chiesa (per lo meno quella occidentale) sia sempre stata una colonna portante di questa regola mentale antropocentrica, ma non è questo che mi preme evidenziare ora, quanto piuttosto il fatto che sia sempre stata la Scienza ad assumersi la funzione di contrastare questa regola… la funzione di decentrare l’uomo.
Da Copernico abbiamo imparato che la terra non è al centro dell’universo (e abbiamo dovuto mandarla giù, arretrando le linee di difesa), da Darwin abbiamo imparato di non essere nemmeno al centro della nostra terra (e abbiamo dovuto mandare giù anche questa, arretrando un altro poco le linee di difesa, tranne qualcuno che, in nome di Dio, ancora non si rassegna alla propria marginalità… vedi la premessa precedente).
Come ha detto Sigmund Freud: la scienza moderna si è fatta un punto d’onore di cancellare la nostra presunzione e di condurci verso grandi mortificazioni. Anche a Freud non possiamo dare torto, benchè io non possa fare a meno di pensare che sia stato proprio lui a dare il colpo di grazia finale alla presunzione umana: dimostrando che noi poveri miserabili, ormai non più al centro né dell’universo né della vita, non siamo nemmeno al centro di noi stessi, visto che il nostro inconscio influenza in modo determinante la nostra coscienza.

Fino a qui credo che tutti si possa essere d’accordo su questo processo di antropo-decentramento condotto dalla scienza. Ma qui concludo questa seconda premessa lanciando una prima provocazione: la Scienza ha senz’altro posto ai margini l’uomo, ma altrettanto certamente ha posto al centro se stessa.

Ciò che intendo dire è che la scienza ha formalizzato un metodo e un sistema, ponendoli come realtà oggettive e quindi rifiutando: sia tutto quanto non rientra nel sistema (Dio, tanto per fare il solito esempio, non è necessario al sistema scientifico e quindi non è reale, come ci ha spiegato Laplace); sia tutto quanto non è conforme al metodo (la spiritualità umana, per esempio, o la filosofia non sono oggettive, né affidabili, né verificabili, quindi non sono argomento che possa rientrare nella verità).

Ma ahimè, la scienza è un prodotto umano, non una legge inscritta nell’universo come vuole farci credere e come praticamente tutti crediamo: ponendo se stessa al centro della verità non ha fatto altro che riportare l’uomo al centro di tutto, non più un uomo ignorante come il suo antenato pre-copernicano, ma un uomo autocosciente della propria marginalità, ma non per questo meno presuntuoso.
Ci sarà una ragione se la Chiesa, autonominatasi depositaria della Verità, ha sempre combattuto la Scienza come la principale avversaria nella presentazione del vero.

Ecco perché non vedo troppa differenza tra la prima premessa, nella quale ho criticato la vacuità del creazionismo e questa seconda nella quale critico la presunzione della scienza. Mi auguro che queste parole possano essere di stimolo per una bella discussione, ma così come non troverei stimolante discutere con qualcuno che mi dice ‘Dio c’è’, dall’altra parte non mi divertirei a discutere con qualcuno che mi dice: ‘non è dimostrabile, non è condiviso, non è sperimentale e quindi non c’è’.

Ce la facciamo a liberarci delle nostre ideologie? Scienza e religione comprese? Giusto per farci quattro chiacchiere piacevoli? Per quanto mi riguarda non ho rancori nè verso l'una, nè verso l'altra, ma al tempo stesso non considero nè l'una, nè l'altra, depositarie di una verità finale univoca.

Per il momento mi fermo qui per darvi modo di leggere questa lunga premessa e di arricchirla con le vostre opinioni. Poi passerò alla riflessione sull’evoluzionismo che volevo condividere con voi, di cui ovviamente questa premessa è parte integrante.

Ciao, Andrea

Modificato da - Acipenser in Data 25 marzo 2010 02:25:10

Hemerobius
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Prov.: Sassari

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Flora e Fauna

Inserito il - 24 settembre 2008 : 16:25:13 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Caro Andrea,
credo che la visione della Scienza (con S maiuscola) depositaria di una verità che possa addirittura mettersi in contrapposizione alla verità religiosa (e lo dico da agnostico) sia stata ormai abbandonata dalla maggioranza degli scienziati, mentre rimane molto ben radicata in ambienti giornalistici pseudo-scientifici.
Credo che tutto il pensiero di Popper sulla provvisorietà delle verità scientifiche abbia dimostrato che è il dubbio l'anima della scienza. Mi pare (da spettatore lontano) che le ideologie assolutiste contrastino vivacemente questa posizione.

Ciao Roberto

verum stabile cetera fumus
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Zoroaster
Utente Senior

Città: Pavia


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Inserito il - 24 settembre 2008 : 17:30:40 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Theco, parli di scienza e di religione, ed io quindi interverrò su questi due “ponderosi” temi, dicendo ciò che io credo e sento, in modo istintivo e spero facile.
Mi dilungherò anche su una riflessione che avevo fatto, in privato, poco tempo fa, sul sentimento religioso, proprio del genere umano, per darmi delle spiegazioni circa la sua diffusione ed universalità. Sperando sempre di non urtare le altrui sensibilità e di non uscire troppo dal seminato…

Scrivi: “Ce la facciamo a liberarci delle nostre ideologie? Scienza e religione comprese?”
Come si fa a liberarci di sistemi di pensiero, tipicamente umani entrambi, che riescono a rapportarci con la realtà che ci circonda? Non credo che scienza e religione siano due “ideologie”, ma due modi diversi di leggere la realtà.

Se vediamo una mela che cade per terra, siamo portati per istinto a porci delle domande e a cercare delle risposte.

Tali risposte si possono trovare all’interno di un sistema “scientifico” (Per es.: la mela cade, come tutti gli oggetti pesanti, perché attratta dalla forza di gravità) o all’interno di un sistema “non scientifico” (Per es.: questa mela è caduta perché così ha voluto Zeus)

Ognuno di noi poi decide, di volta in volta, se è il caso di adottare un approccio scientifico al problema (Per es. Ho una polmonite da streptococco. Mi conviene prendere un antibiotico attivo sullo streptococco) oppure un approccio non scientifico (Per es. Ho un forte dolore alla gamba che i medici non sanno capire o curare. Provo a recarmi da un mago, oppure provo a mettere un bicchiere di sale sotto il letto…-come insegnava Wanna Marchi-)

Uno di questi due approcci alla realtà, che possono combinarsi variamente fra di loro, anche in una stessa persona (pochi di noi sono dei “computer” che rifiutano tutto ciò che non sia “scienza”, come pochi di noi, per fortuna, sono fanatici integralisti religiosi), dobbiamo per forza averli. Altrimenti cosa ci resta? La consapevolezza che non potremo mai sapere niente? La confusione totale? L’abulia totale?

Spero con ciò di aver ben capito quello che volevi dire.

Scrivi anche: “Ciò che intendo dire è che la scienza ha formalizzato un metodo e un sistema, ponendoli come realtà oggettive.”
Non credo che un metodo, quello scientifico, prenda il posto della realtà. Un metodo è un metodo, e quello scientifico è basato su principi di logica, di non contraddizione, di causa-effetto, ecc. La realtà è ciò che ci circonda, e che la scienza analizza secondo il suo metodo (metodo che possiamo anche rifiutare, ben inteso!!), ma la realtà NON è il sistema scientifico stesso.
La scienza possiamo quindi anche rifiutarla, come metodo.
Ciò che non possiamo invece pretendere è che la scienza si occupi di fenomeni che non le appartengono o che la scienza studi e indaghi altre “realtà”, che a livello puramente speculativo potrebbero anche esistere, ma che non ci è dato di percepire.
Con queste “altre realtà” intendo ciò che ci viene raccontato dalle religioni (esistenza di una realtà ultraterrena, esistenza di una o più divinità, persistenza dell’”anima” o della coscienza individuale dopo la morte, interazione delle divinità con il nostro mondo tangibile, ecc.) che non è indagabile dalla scienza non per strani motivi o preconcetti o ristrettezza di visione, ma semplicemente perché non è indagabile neppure dai nostri sensi.

Scrivi anche: “Ci sarà una ragione se la Chiesa, autonominatasi depositaria della Verità, ha sempre combattuto la Scienza come la principale avversaria nella presentazione del vero.”
Di questo non mi stupisco per niente.
La scienza ha sinora inflitto delle batoste mica da ridere alle credenze religiose. Se non si fosse scoperta l’elettricità, per esempio, si crederebbe probabilmente ancora che i fulmini sono scagliati da Zeus per punirci!
Ci sono poi dei capisaldi di quasi ogni religione che cozzano palesemente con una visione scientifica e razionale della realtà. Ma su questo per ora non voglio soffermarmi.

Espongo però qui una mia personale visione delle cose riguardo alle religioni, esponendomi quindi in prima persona, non per creare dissapori, ma perché è una riflessione che ritengo interessante e che ho fatto “con me stesso” proprio alcuni giorni fa.

Credo che quasi tutte le religioni basino la loro stessa esistenza sulla paura dell’uomo verso l’ignoto e, soprattutto, verso la morte. Molti la pensano come me, ed il percorso logico per arrivare a tale conclusione non è difficile. La morte è infatti il tema/problema fondamentale di ogni religione. La nostra religione ne ha addirittura fatto il suo simbolo: un uomo che muore sulla croce.
Ed io però ho voluto pormi questa domanda, per verificare, come fosse una sorta di “prova del nove”, se davvero i culti religiosi traggono le proprie radici da un sentimento di impotenza (verso la natura, la realtà) e, soprattutto, di orrore nei confronti della morte (nostra e dei nostri cari).

Ipotizziamo questo scenario. “Dio” che parla a noi tutti, un giorno, da sopra le nuvole, e ci dice in modo univoco e perfettamente comprensibile: “Vi ringrazio per le vostre preghiere e la vostra devozione. Come vedete io esisto, dato che adesso sto parlando a voi. Ma devo però deludervi su un paio di questioni spinose. Non ho purtroppo nessun potere sulle vostre vite e sui vostri destini, né ho potere di modificare alcunché sulla terra. L’altra brutta notizia che ho da darvi è che voi siete mortali come tutte le altre creature viventi. Non c’è nessun inferno e nessun paradiso, non c’è premio o punizione, non c’è resurrezione dei corpi, né una vita dopo la morte. Grazie comunque per le vostre preghiere e arrivederci….”

Ed ecco la domanda che ognuno di noi, religioso o meno che sia, dovrebbe porsi: quanti fedeli, il giorno dopo questo discorso, si recherebbero ancora nei vari templi a pregare la loro Divinità, rivelatasi improvvisamente incapace non solo di aiutarli nelle difficoltà di ogni giorno, ma anche incapace ad assicurar loro o ai loro cari un’esistenza eterna?

Ed ecco il pensiero, lo stesso pensiero, come l’avevo formulato la prima volta qualche tempo fa:
“Se tutti noi dovessimo comunque morire, senza vita eterna, resurrezione, angeli, paradiso, inferno; cioè se l’uomo fosse certo che dopo la morte non c’è più niente, o meglio, più niente che lo riguarda semplicemente perché lui non esisterà più, così come non esisteva prima di nascere, quante persone pregherebbero ancora Dio (inteso in senso generale)?
Mi spiego meglio.

Ipotizziamo che Dio esista per certo: cioè che esista un “essere” potentissimo e immateriale che sa e che vede tutto da sempre e che, diciamo anche questo, prova piacere ad essere adorato e venerato.
Ma ipotizziamo anche che questo Dio non possa minimamente intromettersi nella nostra vita e nei nostri destini e, soprattutto, che la nostra vita abbia un termine definitivo ed assoluto con la nostra morte, così come capita per tutte le altre forme di vita animali e vegetali.

Rispondete sinceramente a voi stessi.
Con queste premesse, andreste lo stesso in Chiesa o nei vari Templi a pregare e ad adorare Dio?

Io credo di no.
Ma se allora tutti noi andiamo a pregare Dio (pur non conoscendolo diciamo “di persona”), perché lui è potente, perché lui può influenzare la nostra vita e la vita dei nostri cari nel bene e nel male (almeno così crediamo) e, soprattutto, perché lui deciderà la nostra sorte dopo la nostra morte “fisica”, che amore vero e disinteressato può mai essere il nostro?

Io stesso, se fossi la Divinità, sospetterei: “Ma non sarà che gli uomini mi pregano tutti i giorni solo perché hanno una tremenda paura della morte e della sofferenza e quindi un tremendo bisogno di me? E’ vero amore il loro, quello che nutrono nei miei confronti?”

Una Divinità onnisciente e molto intelligente si porrebbe senza dubbio il problema. Come si può amare un “qualcosa” senza conoscerlo? E’ possibile amare (amare davvero, non solo adorare) ciò che non si conosce e non si è mai visto? E’ possibile amare un “qualcosa” perché “si deve”?
Come si può amare per paura e debolezza? E’ vero amore, quello dei fedeli, dei credenti, o è piuttosto un mascheramento di un gran senso di vuoto e di paura?

Non solo. Se questa Divinità si accorgesse che quello che gli uomini nutrono nei suoi confronti non è vero amore (perché non si può amare ciò che non si conosce, né si può amare per obbligo o per paura), ma un misto di terrore, cieco rispetto e devozione, non sarebbe Dio stesso più contento di quei pochi che non lo adorano e non si prostrano ai suoi piedi?”


Scusate se ho sconfinato. Tornando al tema principale: scienza, cioè "razionalità", e religione sono necessarie al genere umano. La scienza per rapportarci in maniera utile con la realtà che ci circonda (ci spiega cosa sono i fulmini). La religione per permetterci di vivere un po' meno amaramente....



"E ove un dolente suono arcano a udir ti cogli, come se li nostri andati cari, fra noi qui sono in terra, e invocan, con voce mesta, o luce tenue e ignota, o tanfo estremo e nauseabondo, ecco, lì la mirauda ha ancor alcova, e la sua fetida stirpe ancor dà prole!"

Modificato da - Zoroaster in data 24 settembre 2008 17:32:14
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mazzeip
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Inserito il - 24 settembre 2008 : 18:06:03 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Pensieri in libertà: il primo problema da affrontare è appunto definire le premesse, come ha fatto Andrea: considerando vera e non illusoria la nostra esistenza come soggetti pensanti e considerando falsa la famosa "esse est percipi" di Berkeley, e dando quindi "vita" e consistenza propria e indipendente alla realtà (già questo non è scontato, ma credo che possiamo ammetterlo), automaticamente quello che definiamo scienza diventa una chiave di lettura della realtà, cioè un tentativo di costruire una serie di modelli capaci allo stesso tempo di farci capire come "funziona" ciò che ci circonda e di farci fare delle previsioni, eventualmente "rischiose" (non immediate, non intuitive, tutt'altro che scontate), che derivano come conseguenza dell'applicazione del modello a dei dati nuovi.

E questa è già una enorme differenza con le religioni, i miti, gli "spiritualismi" o come li volete chiamare: da un lato uno strumento, creato dall'uomo in quanto soggetto pensante con lo scopo di "capire" qualcosa che oggettivamente esiste, dall'altro soltanto un dogma, un assunto indimostrabile, un desiderio, per qualcuno una necessità, ma manca un oggetto definito di questo "processo", manca anche solo la possibilità di definire degli strumenti di verifica, di immaginarsi un criterio per separare il vero dal falso. Le false scienze sono escluse dalle scienze vere, ma chi è in grado di definire falsa una religione?

Che ci siano impostazioni dogmatiche e ideologiche anche nel campo scienze è ovviamente vero, ma non credo che in tale campo non se ne possa fare a meno, e credo che derivino dai nostri limiti più che da una qualche forma di ineluttabilità... Non è vero che la scienza è
una legge inscritta nell’universo come vuole farci credere e come praticamente tutti crediamo
, tanto che si è evoluta, modificata, affinata in quanto metodo e non legge: credo che vederla a tutti i costi come una ideologia sia un po' un tentativo di dare uno stesso "valore" oggettivo a due cose che per loro natura non saranno mai confrontabili...



Si fa presto a dire evoluzionismo Paolo Mazzei   Link   Link
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Zoroaster
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 08:51:37 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di mazzeip:


Le false scienze sono escluse dalle scienze vere, ma chi è in grado di definire falsa una religione?



Si fa presto a dire evoluzionismo Paolo Mazzei   Link   Link


I miei erano sicuramente pensieri in libertà (sono stato quasi io stesso ad ammetterlo ), ma la tua domanda mi pare un po' ingenua: proprio perché hai un rapporto "scientifico" con il problema. Per chi ha invece un approccio religioso nei confronti delle cose, alla tua domanda risponde in maniera ovvia: la sua religione è quella vera. Le altre possono contenere elementi di verità (se hanno elementi comuni alla sua religione, per esempio lo Zoroastrismo con il Cristianesimo...), ma saranno sostanzialmente false!



"E ove un dolente suono arcano a udir ti cogli, come se li nostri andati cari, fra noi qui sono in terra, e invocan, con voce mesta, o luce tenue e ignota, o tanfo estremo e nauseabondo, ecco, lì la mirauda ha ancor alcova, e la sua fetida stirpe ancor dà prole!"
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lynkos
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 08:52:33 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Fino a qui credo che tutti si possa essere d’accordo su questo processo di antropo-decentramento condotto dalla scienza. Ma qui concludo questa seconda premessa lanciando una prima provocazione: la Scienza ha senz’altro posto ai margini l’uomo, ma altrettanto certamente ha posto al centro se stessa.
Ciò che intendo dire è che la scienza ha formalizzato un metodo e un sistema, ponendoli come realtà oggettive e quindi rifiutando: sia tutto quanto non rientra nel sistema (Dio, tanto per fare il solito esempio, non è necessario al sistema scientifico e quindi non è reale, come ci ha spiegato Laplace); sia tutto quanto non è conforme al metodo (la spiritualità umana, per esempio, o la filosofia non sono oggettive, né affidabili, né verificabili, quindi non sono argomento che possa rientrare nella verità).
Ma ahimè, la scienza è un prodotto umano, non una legge inscritta nell’universo come vuole farci credere e come praticamente tutti crediamo: ponendo se stessa al centro della verità non ha fatto altro che riportare l’uomo al centro di tutto, non più un uomo ignorante come il suo antenato pre-copernicano, ma un uomo autocosciente della propria marginalità, ma non per questo meno presuntuoso.

I miei complimenti più calorosi per il tuo intervento lancio in questa nuova sezione. L'ho letto due/tre volte, sperando di trovare l'ispirazione per intervenire anch'io, ma "purtroppo" hai espresso così precisamente il mio parere , soprattutto nel pezzo che cito sopra, che di aggiungere altro sarebbe pura ripetizione! Seguirò lo sviluppo del dibattito con interesse.

Sarah Gregg - Con altri occhi


"Lasciateci dare una possibilità alla natura, perché sa il fatto suo meglio di noi", Michel de Montaigne
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mazzeip
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 12:06:22 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
ma la tua domanda mi pare un po' ingenua

Acc... mi hai smascherato

Angra Mainyu (Ahriman)








Si fa presto a dire evoluzionismo Paolo Mazzei   Link   Link
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theco
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 13:37:37 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Sono d'accordo con tutto quanto avete scritto e mi rendo conto che avere posto Scienza e Religione sui due piatti della stessa bilancia è una soluzione azzardata e per molti versi errata.

Il mio scopo però non era quella di affrontare una simile bazzecola di discussione ma solo quello di introdurre alcune argomentazioni, cosa che vado a fare qui di seguito, che sono ben poco ortodosse sia per il pensiero scientifico, sia per la fede religiosa, ma che nonostante ciò io trovo essere molto interessanti.

Gli argomenti introdotti da Zoroaster sono molti ed interessanti, avrei molto da dire in proposito, ma non lo farò qui, per evitare di portare questa discussione fuori tema. Magari Zoro apri un altro post quando ritieni di farlo e ne parliamo.

Di qui in avanti non mi sarà più necessario in questo post accostare Scienza e Religione, anzi di quest'ultima credo proprio che non parlerò più.

Passo quindi coraggiosamente ad esporre alcune idee non mie (ricordate che il tema di fondo è l'evoluzionismo) pregandovi di accoglierle nel modo meno ortodosso di cui siete capaci e di lanciarvi quindi nei più funanbolici commenti. Seguiranno più avanti le conclusioni.

---

Comincio con una considerazione relativa all’accelerazione evoluzionistica. I meccanismi evolutivi sono sempre esistiti (almeno sulla Terra) però non hanno sempre avuto la stessa velocità, ma hanno probabilmente avuto sempre la stessa accelerazione.

Per consumare il passaggio tra gli organismi unicellulari, prima procarioti poi eucarioti, e gli organismi pluricellulari organizzati sono stati necessari miliardi di anni, più della metà del tempo che la vita ha avuto a disposizione è stato impiegato per questo primo significativo passaggio evolutivo.
Ma occorre andare molto più avanti per arrivare all’esplosione biologica del Cambriano: la vita, nell’organizzazione sistematica che ancora oggi utilizziamo, ha occupato appena il dieci per cento del tempo disponibile. Il periodo che intercorre tra questa prima esplosione e l’ultima grande crisi biologica, alla fine del Terziario, è caratterizzato da eventi ciclici di estinzione massiccia e di ripresa della vita, con ritmi che ormai si contano in centinaia di milioni e non più in miliardi di anni.
La speciazione dei primi ominidi dal gruppo dei primati risale appena a qualche milione di anni fa e la separazione del genere Homo ad appena mezzo milione di anni fa: l’accelerazione evolutiva ha portato ormai a misurare le nuove conquiste in centinaia di migliaia di anni, ma non è finita…
La comparsa dell’Homo sapiens moderno e della sua capacità, unica sulla Terra, di sviluppare il proprio pensiero e di contrapporre la tecnologia all'ambiente, risale ad appena trentamila anni fa, ormai stiamo misurando la velocità evolutiva in decine di migliaia di anni.
A questo punto non è più sufficiente parlare di evoluzionismo biologico, occorre tener presente nello sviluppo della vita anche l’evoluzionismo culturale, così tremila anni fa arriviamo ad Omero e alla nascita della cultura occidentale moderna… ormai gli intervalli tra conquiste evolutive significative si misurano in migliaia di anni e l’accelerazione non dà alcun segno di volersi arrestare.
Tra l’incapacità dell’uomo di circumnavigare il globo e la sua capacità di andare sulla Luna passano solo alcuni secoli; tra l’isolamento comunicativo e internet, cioè la possibilità pratica che questo forum esista, passa ancor meno tempo… ormai le conquiste evolutive si misurano in decenni. E il ritmo non accenna a diminuire.

Cosa c’è alla fine di questa accelerazione? Nessuna accelerazione può essere infinita, la contrazione dei tempi evolutivi deve necessariamente trovare un proprio limite, superato il quale le variazioni non sarebbero più percepibili dai limiti biologici e culturali della vita e sarebbero quindi inefficaci.
Tutto questo può portarci a formulare un'ipotesi: i meccanismi evolutivi forse non sono infiniti, ma puntano ad un obiettivo ben preciso e molto probabilmente questo obiettivo è piuttosto vicino nel tempo. Per il momento non entro nel merito della discussione se l’obiettivo sia frutto della casualità o programmato nell’evoluzione stessa, né esprimo ipotesi sulla forma e il contenuto di questo obiettivo… ci ritornerò più avanti, adesso è necessario fare una seconda riflessione preliminare.



Ritorno a quanto espresso nella premessa, in relazione alla marginalità dell’uomo: siamo granelli di polvere nell’universo, su un sistema planetario periferico, di una galassia periferica, ecc. ecc.
Però da questo scomodo punto di osservazione, così marginale, siamo riusciti a ‘vedere’ l’universo, appena trecentomila anni dopo il big bang e tutto lascia pensare che riusciremo ad andare anche oltre, forse addirittura a spingerci al punto di avere un’immagine dell’inizio.

Beh, non è poco per un granello di polvere privo di alcun valore nell’economia dell’universo.

Si potrebbe obiettare che la diffusione della vita e dell’intelligenza nell’universo sia tale che in realtà questo tipo di conoscenza sia tutt’altro che eccezionale, ma molto diffuso. Non possiamo saperlo, ma se anche fosse non cambierebbe la sostanza del discorso su quanto siamo riusciti a fare partendo da una situazione tanto scomoda e in ogni caso abbiamo ormai la ragionevole certezza di essere l’unica forma di vita intelligente nel raggio di qualche anno luce attorno a noi… non è molto, ma è sufficiente a dirci che in ogni caso l’intelligenza nell’universo non è comune come lo sono le sue stelle.

Il fatto di essere ‘spettatori dell’inizio’ non è semplicemente una conquista scientifica… è un corto circuito culturale tra noi e l’eternità.
Per chi è credente equivale al completamento della torre di Babele o meglio ancora, in modo più significativo, al ritrovamento dell’Eden perduto, alla digestione finale del frutto proibito della conoscenza e quindi al ritrovamento dei frutti dell’immortalità. Se l’uomo credente riesce a vedere l’inizio, vede Dio.
Anche per il non credente essere spettatore dell’inizio significa arrivare fino all’ultima estremità del processo di conoscenza scientifica, oltre non resterebbe altro da indagare. Anche per il non credente significherebbe raggiungere il proprio obiettivo.
E siamo ad appena trecentomila anni di distanza da questo obiettivo su una distanza di circa 14 miliardi di anni (non sono molto aggiornato sulle dimensioni dell’universo, eventualmente correggetemi).

La conclusione di questa seconda riflessione preliminare è che forse, nonostante la nostra dimensione, nonostante la nostra posizione, nonostante la nostra fragilità: forse non siamo così marginali nella storia dell’universo, considerando il punto fino al quale abbiamo saputo spingerci.

A questo punto mi serve una terza e ultima riflessione, prima di arrivare alle conclusioni, ma siccome sono stato prolisso, vedrò ora di essere conciso.
Se fosse possibile riavvolgere la freccia del tempo non avremmo nessuna garanzia che l’evoluzione procederebbe di nuovo nello stesso senso, visto che la stessa è legata anche ad accadimenti casuali: forse ci ritoveremmo con i Neandhertal come specie dominante, oppure, andando un po’ più indietro, con i grandi rettili a dominare la scena odierna, o forse ancora, cosa più probabile di tutte, ci ritroveremmo senza più nessuna di forma di vita, considerando l’estrema precarietà della vita stessa.

E allora perché, tra le infinite possibilità, ci ritroviamo proprio noi uomini e la nostra intelligenza a dominare la scena evolutiva?

Ammettiamo, come vogliono i principi evoluzionistici, che l’adattamento proceda attraverso la selezione naturale di variazioni genetiche, selezione che ovviamente privilegia le soluzioni più efficaci alla sopravvivenza, a differenza delle altre. Sulla base di questo principio possiamo tracciare una retta continua che unisce quella piccola cellula procariota del brodo primordiale a noi, e dobbiamo quindi sostenere che nei quattro miliardi di anni di lunghezza di quella retta le infinite variazioni genetiche che hanno portato fino a noi sono state tutte positive, altrimenti avremmo fatto la fine degli altri miliardi di tentativi falliti dalla vita.

Se le cose stanno così non posso che trarre due conclusioni logiche: o siamo creature molto fortunate, la misura della cui fortuna travalica i limiti di qualunque scienza probabilistica e dell’universo stesso, oppure nei meccanismi evolutivi possiamo ipotizzare un preciso senso del movimento che integra, e probabilmente supera, le sole variabili casuali.
Insomma una bussola, un senso, un obiettivo, una tendenza pre-iscritta che porta fino a noi (almeno per il momento).

Riassumo queste tre ipotesi:
- i meccansimi evolutivi potrebbere non essere infiniti;
- l’uomo forse non è marginale nell’universo;
- i meccanismi evolutivi potrebbero avere un obiettivo prestabilito.


A questo punto mancano solo le conclusioni del pensiero di Schiavone, che ho inevitabilmente imbarbarito mischiandolo con i miei di pensieri. Le rimando alla prossima volta, ora mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di queste tre ipotesi e dei ragionamenti che le hanno prodotte. Mi rendo conto che sono aree di pensiero piuttosto lontane dall’ortodossia, sia scientifica che religiosa, ma io, pur avendo le mie di critiche, le ho trovate affascinanti e feconde.


Ciao, Andrea
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Zoroaster
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Città: Pavia


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Inserito il - 25 settembre 2008 : 14:07:15 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di theco:


Se le cose stanno così non posso che trarre due conclusioni logiche: o siamo creature molto fortunate



Grazie Andrea: sono contento che le mie riflessioni ti siano comunque piaciute.
Devo dire che l'argomento da te ora trattato è ostico per me e forse non ho le conoscenze appropriate per affrontarlo al meglio, diciamo con sufficiente "scientificità".
Prendo quindi solo una tua frase e da lì faccio qualche mia riflessione.


Ahimé io non vedo tutta questa fortuna nell'essere nati o diventati umani.
Torno al tema della morte. L'uomo è probabilmente l'unico essere vivente a rendersi perfettamente conto del limite temporale che gli viene imposto da Madre Natura. Sa perfettamente che, se tutto gli andrà per il meglio, dovrà assistere alla scomparsa prima dei nonni, poi dei genitori e, infine, assistere alla sua stessa decadenza e alla sua fine. Penso che questa sia la peggior condizione possibile per un essere vivente. Altri animali "intuiscono" senza dubbio la morte, e forse ne hanno anche un vago concetto mentale, ma la loro consapevolezza non credo possa essere paragonata neanche lontanamente alla nostra. Quindi: triste e sfortunata situazione la nostra!

Poi.
L'uomo ha raggiunto l'attuale suo stadio di evoluzione, biologica e culturale. Non sappiamo per quanto e non sappiamo neanche se ci sarà un'involuzione nella nostra specie (un po' come ci racconta il film "Idiocracy"), un continuo progresso o una estinzione in massa. Ma anche altre specie hanno raggiunto il loro livello di evoluzione, e non in tempi remoti. Oggi.

Insetti, batteri, topi...
Non so dove l'ho letto (ma prendiamola pure come un inserto di "Novella Duemila"): la specie che sopravviverebbe ad un disastro planetario tipo guerra nucleare o batteriologica potrebbe essere... lo scarafaggio! (il mio è un esempio... Kafkiano! )

E se non fosse lo scarafaggio, i batteri sarebbero comunque più resistenti e adattabili di noi... o almeno, ce ne sono così tanti tipi, che qualcuno adatto a sopravvivere in un mondo a noi ostile ci sarebbe senza dubbio...

Quindi il mio contributo è: specie umana molto intelligente (è vero, anche se non tutti gli individui); in grado di guardare indietro fino al big-bang (ma la casalinga di Voghera sa cos'è il big-bang?); ma non molto fortunata, proprio a causa della consapevolezza della sua condizione precaria e limitata nel tempo.



"E ove un dolente suono arcano a udir ti cogli, come se li nostri andati cari, fra noi qui sono in terra, e invocan, con voce mesta, o luce tenue e ignota, o tanfo estremo e nauseabondo, ecco, lì la mirauda ha ancor alcova, e la sua fetida stirpe ancor dà prole!"

Modificato da - Zoroaster in data 25 settembre 2008 14:09:20
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Akis bacarozzo
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 14:18:07 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Andrea mi invita a funambolizzare e io funambolizzo.

L'evoluzione sta accelerando? E' sempre stata in accelerazione? Chi l'ha detto?
La ricapitolazione dei fatti presentata a sostegno di questa ipotesi si basa su una visione antropocentrica. Un muschio non vedrebbe gli avvenimenti elencati nella stessa ottica.
E, anche dal punto di vista prettamente umano, non è assolutamente detto che gli eventi considerati abbiano tutti lo stesso peso evolutivo. C'è più differenza tra un paramecio e un batterio di quanto ce ne sia tra me e il paramecio. Io e un dinosauro, poi, siamo praticamente la stessa cosa in termini di complessità biologica.

I meccanismi evolutivi non sono infiniti? (Immagino che qui per meccanismi evolutivi si intenda la possibilità di generazione di novità)
Beh, in un certo senso immagino possa essere vero. Dopotutto le basi del DNA sono solo 4 ed è probabile che il genoma non possa aumentare di dimensioni oltre un certo limite. Il numero delle combinazioni non è infinito, ma è comunque bello grande.
Mi pare (correggetemi se sbaglio) che la domanda presupponga un finalismo che non condivido.

Non siamo così marginali nella storia dell'universo?
Dal nostro punto di vista, non siamo marginali proprio per niente. Bisognerebbe vedere che ne pensa il resto dell'universo. Ma poi, che vuol dire essere marginali? Un lichene è marginale? Un pianeta disabitato è marginale?

Quanto all'obiettivo, bisognerebbe capire chi l'ha stabilito. La presenza di un obiettivo presuppone una volontà che lo fissa. Altrimenti, si può parlare di un risultato, di un effetto, ma non di un obiettivo.
E se un obiettivo esistesse, pensate davvero che saremmo noi? Che spreco di materia e energia!


Silvia
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mazzeip
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 14:23:48 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Silvia, stavo rispondendo ma la tua sintesi mi sembra ancora più efficace di quello che stavo per dire, condivido in pieno.



Si fa presto a dire evoluzionismo Paolo Mazzei   Link   Link
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Akis bacarozzo
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 14:40:47 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Grazie, Paolo. Arrossisco

Aggiungo una cosa che mi ero scordata, relativa al discorso sulla probabilità della nostra esistenza.
Perché io esisto? Perché quel preciso spermatozoo di mio padre ha incontrato quel preciso uovo di mia madre. Ma poteva arrivare prima un'altro spermatozoo, oppure quell'uovo poteva essere emesso un po' prima o un po' dopo e morire.
I miei genitori avrebbero potuto non incontrarsi mai. Potevano anche non essere mai nati, se i miei nonni avessero deciso di guardare la TV quelle sere (ok, la TV a quei tempi non c'era, perdonatemi la metafora). Ma anche i miei nonni avrebbero potuto non incontrarsi mai o non essere mai nati... E così via fino a 3 o 4 miliardi di anni fa.
A priori, quali erano le probabilità che io nascessi? Spaventosamente prossime a zero. Per questo devo ritenere di essere speciale, di essere migliore dei miliardi e miliardi di esseri umani che non sono nati per i casi della vita (e dell'evoluzione)? No.
Semplicemente, i fatti molto molto improbabili accadono. A qualcuno capita di vincere la lotteria, anche se a priori la probabilità era infima.

Silvia
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D21
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 15:05:38 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Quasi 4 miliardi di anni di evoluzione... per produrre uno come me??? Se ci fosse un finalismo in questo, non saprei spiegarmene il senso!!!!! (Ma che rido? Acc... non c'è niente da ridere! ).

D'altronde tutti, prima o poi si chiedono: "che ci faccio qui" e "qual è il mio destino". Sempre ammesso che esista davvero, un destino.

E qualunque specie senziente si chiederebbe: "Perchè proprio io?"
Se i dinosauri avessero evoluto una specie autocosciente, ora si starebbe domandando: "Perchè proprio io?"

Come noi.

Se non sbaglio, Theco, ciò di cui parli è il cosiddetto "demone di Lamarck". Mi pare che ne parli anche Konrad Lorenz (negandola): una direzione preferenziale dell'evoluzione, che porta inevitabilmente a noi.

Cambio di argomento:

ho il sospetto, ne pensavo tra me qualche tempo fa, che l'evoluzione dell'intelligenza abbia un limite, proprio nel concetto stesso di intelligenza. Ci sono deviazioni continue dal tracciato che porta alla materializzazione di un cervello equilibrato: l'evoluzione procede a casaccio anche in questo, se vediamo quanti "deviati mentali" sono a piede libero, oggi.
Forse la sublimazione del concetto stesso di intelligenza è la perdita di quell'equilibrio che ci permette di pensare in modo logico. In fondo l'astrazione presuppone un cervello in grado di andare oltre la quotidiana materialità della vita, e lì, oltre, gli equilibri necessari alla "sopravvivenza del più adatto" non hanno motivo di esistere. Forse abbiamo già raggiunto il massimo grado di intelligenza possibile, oltre la quale c'è solo disequilibrio.





Ultimo cambio di argomento, ma lo scrivo piccino piccino, perchè non voglio inquinare la discussione. Parlando di ingenuità vorrei aggiungere un suggerimento, molto ingenuo, all'interpretazione delle religioni che ha dato Zoro: il messaggio religioso, solitamente, non comunica solo salvezza del corpo dagli accidenti quotidiani, e dell'anima dagli inconvenienti eterni (credo di essere il primo ad aver chiamato l'inferno "un inconveniente" ), ma di solito danno anche un indirizzo di vita, di comportamento e di relazione con gli altri nella vita d'ogni giorno. Il messaggio "ama il prossimo tuo", "non uccidere", "non rubare",è utile alla convivenza! Se anche la divinità non avesse alcun potere su di noi, questi messaggi sono comunque meritevoli di attenzione. E si potrebbe anche obiettare che pure le leggi statali dicono "non uccidere" e "non rubare"... Tuttavia nessuna legge mi obbliga ad "amare il prossimo", ma semmai solo a rispettarlo. Neppure la religione cristiana lo impone, ma suggerisce caldamente di farlo! Possiamo forse dire che quest'ultimo messaggio, come altri, può essee una ispirazione di vita per molti. La scienza propone teorie: ed è un gravissimo errore "credere" ad una teoria. Al contrario, si ha l'obbligo di metterla in discussione(ne parlava pure Konrad Lorenz). Molti avrebbero voluto invece plasmare la religione secondo i propri desideri e bisogni, adattandola come più faceva comodo... Ma ricordo le parole di Giovanni Paolo II: "La religione non è una democrazia". La si prende com'è, se la si vuole seguire. Per la scienza invece abbiamo la possibilità di modificare tutto. Perfino il metodo, se non è più quello adatto.

Perdono perdono . Non vado più OT! Promesso.

Dario.
«E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie e strane forme fatte dalla artificiosa natura, raggiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran caverna; dinanzi alla quale, restato alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegate le reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e colla destra mi feci tenebre alle abbassate e chiuse ciglia; e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa; e questo vietatomi per la grande oscurità che là entro era. E stato alquanto, subito salse in me due cose: paura e desidero: paura per la minacciante e scura spelonca, desidero per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa».
Leonardo da Vinci


Modificato da - D21 in data 25 settembre 2008 15:10:25
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Zoroaster
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 15:28:07 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di Akis bacarozzo:

Grazie, Paolo. Arrossisco

Aggiungo una cosa che mi ero scordata, relativa al discorso sulla probabilità della nostra esistenza.
Perché io esisto? Perché quel preciso spermatozoo di mio padre ha incontrato quel preciso uovo di mia madre. Ma poteva arrivare prima un'altro spermatozoo, oppure quell'uovo poteva essere emesso un po' prima o un po' dopo e morire.
I miei genitori avrebbero potuto non incontrarsi mai. Potevano anche non essere mai nati, se i miei nonni avessero deciso di guardare la TV quelle sere (ok, la TV a quei tempi non c'era, perdonatemi la metafora). Ma anche i miei nonni avrebbero potuto non incontrarsi mai o non essere mai nati... E così via fino a 3 o 4 miliardi di anni fa.
A priori, quali erano le probabilità che io nascessi? Spaventosamente prossime a zero. Per questo devo ritenere di essere speciale, di essere migliore dei miliardi e miliardi di esseri umani che non sono nati per i casi della vita (e dell'evoluzione)? No.
Semplicemente, i fatti molto molto improbabili accadono. A qualcuno capita di vincere la lotteria, anche se a priori la probabilità era infima.

Silvia



Ho capito benissimo la tua risposta a Theco, e la mia non è una continuazione sull'argomento, ma un'ulteriore riflessione, una digressione sul tema dell'"io esisto".
E purtroppo è qui che la scienza si arresta e non sa darci grandi spiegazioni: il mistero della coscienza individuale! Il passaggio da ciò che è la biochimica, la neurofisiologia a ciò che siamo noi veramente, come sensazioni, pensieri, coscienza, "anima" quindi se vogliamo...


Inizio il mio tremendo off-topic...

Tu scrivi che se i tuoi genitori non si fossero incontrati "tu" non saresti mai esistita. Certo, "tu" con quel DNA non saresti mai esistita. Ma la nostra coscienza non è un qualcosa di materiale, riconducibile al DNA o alle molecole che ci costituiscono...è senza dubbio legata a queste molecole, la nostra coscienza, ma non è essa stessa una molecola o un gruppo di molecole! Pur non essendo religioso in senso stretto, capisco bene le persone religiose quando mi espongono le loro perplessità nel ricondurre tutto alla materia.

Le molecole che ci costituiscono cambiano nel corso degli anni; cambia anche la nostra psiche, questo è vero, ma noi abbiamo comunque un'"impressione" di continuità del nostro "io", legata sostanzialmente ai ricordi di ciò che siamo stati minuti, ore, giorni, mesi ed anni prima... fin (quasi) alla nostra nascita.
I ricordi sono anch'essi immagazzinati sotto forma di molecole e connessioni neuronali (anche se il ricordo stesso NON è una molecola o un gruppo di sinapsi neuronali: è attività psichica!) e prova ne è che in malattie come l'Alzheimer o in tumori cerebrali anche i ricordi se ne vanno, prima ancora della morte definitiva dell'individuo.

Ma. Siamo proprio sicuri che se i nostri genitori non ci avessero concepito, noi non esisteremmo sotto qualche altra forma "autocosciente" o più in generale "vivente"? Due gemelli identici hanno lo stesso DNA, ma non lo stesso "io": sono due persone diverse. Anche se perfettamente uguali nel DNA.

Prima di nascere, noi stessi "non esistevamo". Così almeno si dice e così crediamo.
Certo, come Zoroaster, Akis o Theco non esistevamo di sicuro. Ma forme coscienti esistevano ben prima che noi nascessimo: siamo sicuri che se il nostro DNA fosse stato diverso, un nostro "Io" non sarebbe nato?
Abbiamo visto, con i gemelli identici, che non è il DNA a creare l'unicità di un "io" cosciente.

Non saremmo stati Zoroaster, Akis o Theco, ma io credo che, in fondo, in una forma vivente o nell'altra, saremmo nati ugualmente... non so come spiegare meglio il concetto, perché questo mio dubbio o sensazione è difficile da chiarire anche a me stesso...

Anche se off-topic, mi piacerebbe sentire le vostre opinioni o sensazioni al riguardo...

Modificato da - Zoroaster in data 25 settembre 2008 15:29:45
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Akis bacarozzo
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Inserito il - 25 settembre 2008 : 17:14:37 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Acciderbola, Zoroaster, sollevi una questione mica semplice!
Non ho le competenze per affrontarla in modo soddisfacente e forse non ce le ha nessuno.
In sostanza, ci chiediamo da che cosa dipende il senso di identità, cioè perché io mi sento io.

Secondo me (ma non posso provarlo) il senso di identità è una propietà emergente di certi sistemi complessi. In sostanza, quando un gruppo di neuroni interconnessi raggiungono un livello di complessità sufficiente, nasce un io. Io oggi non sono io di 10 anni fa e neppure io di ieri. Ho l'impressione di essere sempre io perché ho la memoria di tutti questi ii (plurale di io).

Ma mi sa che stiamo uscendo dagli argomenti del forum (e comunque non potrei spingermi molto oltre).



Silvia
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Zoroaster
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Inserito il - 26 settembre 2008 : 08:23:28 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di Akis bacarozzo:

Acciderbola, Zoroaster, sollevi una questione mica semplice!
Non ho le competenze per affrontarla in modo soddisfacente e forse non ce le ha nessuno.
In sostanza, ci chiediamo da che cosa dipende il senso di identità, cioè perché io mi sento io.

Secondo me (ma non posso provarlo) il senso di identità è una propietà emergente di certi sistemi complessi. In sostanza, quando un gruppo di neuroni interconnessi raggiungono un livello di complessità sufficiente, nasce un io. Io oggi non sono io di 10 anni fa e neppure io di ieri. Ho l'impressione di essere sempre io perché ho la memoria di tutti questi ii (plurale di io).

Ma mi sa che stiamo uscendo dagli argomenti del forum (e comunque non potrei spingermi molto oltre).



Silvia


Hi... hi... il fatto che il nostro "io", la nostra "coscienza" possa essere, come dici tu (e probabilmente a ragione) un epifenomeno di sistemi neuronali complessi fa sorgere in noi un altro dubbio. Lo stesso dubbio che, per altri aspetti, si pongono i credenti. Il libero arbitrio.
Se la nostra coscienza è un "sotto-prodotto" della materia, così come il calore è il prodotto di una fiamma (fuochi fatui esclusi ), il fatto che noi pensiamo o possiamo prendere delle decisioni è puramente illusorio: sono le molecole che ci compongono che, reagendo chimicamente e biologicamente fra di loro, ci danno l'impressione di pensare e prendere delle decisioni... Il libero arbitrio: questo sconosciuto!



"E ove un dolente suono arcano a udir ti cogli, come se li nostri andati cari, fra noi qui sono in terra, e invocan, con voce mesta, o luce tenue e ignota, o tanfo estremo e nauseabondo, ecco, lì la mirauda ha ancor alcova, e la sua fetida stirpe ancor dà prole!"

Modificato da - Zoroaster in data 26 settembre 2008 08:25:29
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theco
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Inserito il - 26 settembre 2008 : 09:52:19 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Cara Silvia, devo neccessariamente vestire i panni del difensore, benchè abbia anch’io qualche critica a queste ipotesi, altrimenti perdiamo il piacere del contraddittorio, inserisco quindi qualche commento alle tue acute osservazioni.


Messaggio originario di Akis bacarozzo:
L'evoluzione sta accelerando? E' sempre stata in accelerazione? Chi l'ha detto?
La ricapitolazione dei fatti presentata a sostegno di questa ipotesi si basa su una visione antropocentrica. Un muschio non vedrebbe gli avvenimenti elencati nella stessa ottica.
E, anche dal punto di vista prettamente umano, non è assolutamente detto che gli eventi considerati abbiano tutti lo stesso peso evolutivo. C'è più differenza tra un paramecio e un batterio di quanto ce ne sia tra me e il paramecio. Io e un dinosauro, poi, siamo praticamente la stessa cosa in termini di complessità biologica.

La tua corretta valutazione delle distanze evolutive è però di natura esclusivamente biologica, è necessario fare un passo al di fuori delle scienze sperimentali e considerare la variabile ‘culturale’. Si tratta pur sempre di un prodotto dell’evoluzione naturale, ma è un prodotto, come illustrerò più avanti, che ha acquisito la capacità non solo di comprendere, ma anche di modificare coscientemente il meccanismo che l’ha generato.
La parte ‘naturale’ dell’uomo è perfettamente spiegabile attraverso dinamiche biologiche, ma l’uomo non è tutto qua, i limiti della biologia sono troppo ristretti per spiegare la sua evoluzione culturale: Occam avrebbe qualcosa da ridire sulla tua interpretazione dell’io come risultato di processi neuronali complessi… non puoi spiegare la complessità invocando la complessità stessa come giustificazione.
Occorre fare un passo al di fuori del sistema biologico e non certo per metterlo in discussione.

Se provi a valutare le distanze evolutive non sulla base della distanza genetica, ma sulla base della distanza culturale (o se preferisci sulla base della capacità di interagire coscientemente con l’ambiente naturale) credo che sarai d’accordo nel sostenere che è incomparabilmente maggiore la distanza che separa Einstein da uno scimpanzè, rispetto a quella che separa lo scimpanzè dal paramecio.

In questo senso ribadisco, dal mio punto di vista, la validità dell’ipotesi formulata, secondo la quale la conquista della complessità non ha proceduto in modo uniforme rispetto al tempo.



Messaggio originario di Akis bacarozzo:
I meccanismi evolutivi non sono infiniti? (Immagino che qui per meccanismi evolutivi si intenda la possibilità di generazione di novità)
Beh, in un certo senso immagino possa essere vero. Dopotutto le basi del DNA sono solo 4 ed è probabile che il genoma non possa aumentare di dimensioni oltre un certo limite. Il numero delle combinazioni non è infinito, ma è comunque bello grande.
Mi pare (correggetemi se sbaglio) che la domanda presupponga un finalismo che non condivido.

Qui mi sono spiegato male io, scusatemi. Non volevo parlare di ‘infinito’ dal punto di vista quantitativo, della ‘conta’ delle possibili combinazioni genetiche; mi riferivo invece al tempo.
Siamo tutti convinti che l’evoluzionismo sia il meccanismo attraverso il quale si è diffusa la vita sulla terra. Ma chi ci garantisce che sarà così anche in futuro? Il principio dell’attualismo del buon Lyell ci assicura che i meccanismi in funzione oggi sono gli stessi che funzionavano in passato, ma non abbiamo nessun principio in grado di garantire che i meccanismi futuri saranno gli stessi che operano oggi.
Un cambiamento rivoluzionario è una possibilità reale, da non scartare a priori, ma non voglio anticipare qui le conclusioni di questo discorso.

Quanto al finalismo ho due considerazioni da fare, la prima: l’esistenza del finalismo in natura è una realtà già accettata, per rimanere all’esempio dell’evoluzionismo basti dire che il fine di tutta la commedia non è altro che la ‘sopravvivenza’ della vita. Questo non mette minimamente in discussione il fatto che i meccanismi di base possano basarsi su dinamiche casuali, ma sottolinea però con forza il fatto che meccanismi casuali possono creare strategie definite e coerenti nel tempo, evidentemente dotate di un fine preciso.
La seconda è che nel proseguio non ho alcuna intenzione di scomodare ‘enti esterni’ (divini) in grado di giustificare un fine nelle cose, continuerò parlando solo di eventi naturali e quindi se arriverò a prospettare un finalismo, questo sarà di natura ‘interna’ al sistema naturale... strategia sì, stratega no.



Messaggio originario di Akis bacarozzo:
E se un obiettivo esistesse, pensate davvero che saremmo noi? Che spreco di materia e energia!

L’eccezione sullo spreco è stata fatta, in modo davvero elegante, per rispondere a chi sosteneva la non esistenza di vita aliena nell’universo. Il nostro discorso è incentrato sulla vita e la sua evoluzione, per quanto ci è dato di sapere è quindi un discorso esclusvamente ‘terrestre’ e in questo contesto di riferimento dobbiamo mantenerlo.
Detto ciò affermo, senza tema di smentita, che è sufficiente provare a rientrare a casa in ora di punta per verificare sperimentalmente che di spazio sprecato ce n’è ben poco



Messaggio originario di D21:
ho il sospetto, ne pensavo tra me qualche tempo fa, che l'evoluzione dell'intelligenza abbia un limite, proprio nel concetto stesso di intelligenza. Ci sono deviazioni continue dal tracciato che porta alla materializzazione di un cervello equilibrato: l'evoluzione procede a casaccio anche in questo, se vediamo quanti "deviati mentali" sono a piede libero, oggi.
Forse la sublimazione del concetto stesso di intelligenza è la perdita di quell'equilibrio che ci permette di pensare in modo logico. In fondo l'astrazione presuppone un cervello in grado di andare oltre la quotidiana materialità della vita, e lì, oltre, gli equilibri necessari alla "sopravvivenza del più adatto" non hanno motivo di esistere. Forse abbiamo già raggiunto il massimo grado di intelligenza possibile, oltre la quale c'è solo disequilibrio.

Caro Dario, il pensiero che hai espresso mi sembra intrigante e fecondo di possibili sviluppi, ma non sono certo di averlo compreso bene. Se ne hai voglia potresti cercare di spiegarci meglio cosa intendi dire parlando di un limite evolutivo dell’intelligenza.





Infine, per quanto riguarda il filone di questa discussione che vorrebbe spostarsi su una discussione ontologica relativa all’individuo, ho solo una cosa da dire: finitela di provocarmi con argomenti interessantissimi, altrimenti non ce la faccio a resistere e mi ci ficco. Scherzi a parte, desidero solo presentare le conclusioni delle premesse che ho esposto, poi la discussione potrà prendere la direzione che vuole.

Mi concedo una sola nota rivolta a Silvia, perché ha un’attinenza anche con il filone principale di questa discussione: il plurale di io non è il simpaticissimo ii, ma è noi; il plurale dell’individuo è la specie. Se sviluppi la tua teoria sull’identificazione dell’io con una rete neuronale complessa dovresti arrivare senza contraddizioni a definire la specie come una rete di reti neuronali complesse. Che ne dici?



Ciao, Andrea
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D21
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Inserito il - 26 settembre 2008 : 14:49:09 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di theco:
Caro Dario, il pensiero che hai espresso mi sembra intrigante e fecondo di possibili sviluppi, ma non sono certo di averlo compreso bene. Se ne hai voglia potresti cercare di spiegarci meglio cosa intendi dire parlando di un limite evolutivo dell’intelligenza.


Se quanto scrivo è troppo OT, non esitate a cancellare il post!

Accolgo l'invito volentieri, anche se la faccenda non è chiara neppure a me che l'ho teorizzata... Consideratela un'ipotesi in via di sviluppo, di cui sono pronto a negare la validità in ogni momento se avrò il minimo sospetto che siano tutte fanfaluche (come ogni buon scienziato dovrebbe fare di tutte le proprie teorie ).

Innanzitutto occorre specificare la definizione di intelligenza: sono 3 punti, quelli che vorrei esporre.

Punto 1, il linguaggio: un lupo si reca in un bosco da solo, incontra un cinghialetto e prova a catturarlo. Ma ecco che arriva la cinghialessa tutta infuriata e gliele suona di santa ragione mettendolo in fuga. Il nostro lupo, tutto ammaccato, torna mesto mesto al suo branco... Ecco il punto: un lupo può segnalare agli altri la presenza del cinghialetto, se questo è lì in quell'istante, davanti a lui. Può anche segnalare il pericolo rappresentato da mamma-cinchiale, se questa è lì, davanti a lui. Può cioè "parlare" di ciò che sta succedendo in quel momento, nel presente. Ma non ha nessuna capacità di "raccontare" ciò che gli è successo poco prima nel bosco. Non può cioè parlare del passato. Per farlo è richiesta una certa complessità di linguaggio, ma ancor più, una capacità di astrazione (il passato non esiste più: si deve parlare di qualcosa che non esiste).

Punto 2: l'uso di attrezzi.
Tempo fa lessi (chissà dove) che ciò che ci distingue dagli animali è la capacità di costruire attrezzi complessi... molti animali usano attrezzi (ramoscelli, pietre), e possono anche adattarli per un uso più efficiente, ma nessun animale pare essere in grado di costruire un attrezzo con lo scopo di usarlo per realizzare un altro attrezzo. Quindi, se questo è vero (non ne sono certo, ma non mi viene in mente nessun esempio per contraddirlo) dobbiamo pensare che gli animali abbiano un'intelligenza destinata ad un uso degli attrezzi diretto e immediato.

Punto 3: l'evoluzione del cervello.
La capacità di costruire attrezzi richiede una mano abile, dotata di pollice, che sia in grado di manipolare gli oggetti. Si è supposto che una mano complessa richieda un cervello adeguato per comandarla. Più la mano diventa complessa, più il cervello deve evolversi e aumentare le proprie capacità di coordinazione per usarla al meglio. Pare che sia questo il motivo che ha prodotto la prima spinta evolutiva del cervello, fino al totale controllo delle abilità della mano. Poi, però, un cervello così complesso si è trovato in grado di fare anche altro, come compiere pensieri astratti.

Ed eccoci a noi. Io posso raccogliere una pietra e scheggiarla per affilarla. Poi però non mi limito a usarla per tagliare le pelli (uso diretto), ma la uso per tagliare un ramo, e un tendine, e la lego sul ramo col tendine per ricavarne un'ascia, e con quella mi costruisco un arco. E posso raccontare sia cosa sto facendo, sia cosa ho fatto in passato, sia cosa farò con l'arco che ancora non esiste.

La capacità di astrazione mi permette di pensare anche a cose ancora inesistenti, che vorrei realizzare. Ma c'è di più. Posso pensare anche a cose che non è possibile realizzare, che non esistono nè esisteranno mai, che non sono possibili in questo universo tridimensionale fatto di logica e consequenzialità.
Posso pensare a un cerchio quadrato, al concetto di divinità, a cosa c'è al di fuori del tempo, al colore viola che suona in fa minore, alla quinta dimensione dello spazio, a nuovi organi sensoriali che percepiscono stimoli inesistenti in questo universo...
Sembra insomma che il cervello possa immaginare qualsiasi cosa, anche assurda e illogica.


Mi chiedo: c'è un limite a ciò che il cervello è in grado di fare?

Credo di sì. Provate a pensare al colore marrone. Riuscite a visualizzarlo? Ora pensate al verde. Fatto? Ora pensate a un colore ultravioletto, che non avete mai visto perchè l'occhio non può percepirlo. Forse vi verrà in mente qualcosa di violaceo, come suggerisce il nome, ma il viola non c'entra: è un colore diverso da tutti quelli che conoscete! Io non ci riesco. Non credo sia possibile. Neppure i ciechi riescono a immaginare i colori, che non hanno mai visto.

Supponiamo che il cervello prosegua nella sua evoluzione: potrebbe espandere le proprie capacità aumentando la memoria, o la velocità di pensiero, o le capacità di mettere in relazione vari elementi per trarre conclusioni... Ma questo non è un passaggio evolutivo. E' solo un semplice ampiamento di capacità che il cervello già possiede. Alcune persone hanno già un cervello così...
L'unica cosa che gli resta da fare per evolversi davvero è aumentare le proprie capacità di astrazione. Perchè è così che l'intelligenza può attingere a nuove fonti. E qui si va nel difficile.

Il nostro cervello è fatto per permetterci di sopravvivere in QUESTO universo, dove ogni cosa è logica e consequenziale. Ho fame, vado a caccia, mangio, sto meglio.
L'astrazione mi permette di immaginare armi migliori per andare a caccia. Arrivare sulla Luna è solo una conseguenza della capacità di astrazione: un cervello capace di immaginare un arco da caccia può benissimo immaginare l'Apollo 11...

Ma se aumentiamo le capacità di astrazione, e otteniamo il potere di "vedere" la quinta dimensione spaziale (non solo teorizzarla matematicamente, ma visualizzarla!) allora dobbiamo forzatamente rinnegare la logica, che è il fondamento stesso del funzionamento dell'universo. Di QUESTO universo.

Quindi un cervello che pensi troppo in astratto perderà la logica che gli permette di sopravvivere, e si entinguerebbe presto.
Se l'intelligenza è in diretta relazione con l'uso dell'astrazione per risolvere i problemi del vivere quotidiano, allora essa (l'astrazione) deve necessariamente attenersi alla logica delle leggi fisiche, cioè deve conservare la capacità di razocinio: ciò significa che non può espandersi oltre questo limite. Oltre ci sarebbe solo più incoerenza. E' quello che chiamiamo follia. Forse certe forme di demenza possono ricondursi ad un pensiero illogico in questo universo, cioè inadatto a vivere qui...

Ne consegue che l'intelligenza ha il limite del razocinio, dunque l'astrazione non può espandersi ulteriormente senza rischiare di perdere il contatto con la realtà e sconfinare nella follia.

Se crediamo che in fondo il pensiero è libero e svincolato da ogni essenza materiale, allora cadiamo in un errore preoccupante. Zoro ha detto che il pensiero non è dato dalla materia di cui è fatto il cervello, ma da come questa materia funziona (spero che il concetto sia espresso bene... Scusa Zoro!). Eppure ci sono stati uomini buoni, che hanno avuto traumi cerebrali e sono diventati malvagi... I loro pensieri sono cambiati col mutare del loro cervello materiale. Temo che anche la struttura dei nostri pensieri dipenda da come si è evoluta la parte materiale del nostro cervello, cioè per permetterci di sopravvivere qui, in questo universo. Forse l'intelligenza non è altro che un carattere evolutivo, come la mano, il colore degli occhi, la postura bipede... Dà da pensare...

Dario.
«E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie e strane forme fatte dalla artificiosa natura, raggiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran caverna; dinanzi alla quale, restato alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegate le reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e colla destra mi feci tenebre alle abbassate e chiuse ciglia; e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa; e questo vietatomi per la grande oscurità che là entro era. E stato alquanto, subito salse in me due cose: paura e desidero: paura per la minacciante e scura spelonca, desidero per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa».
Leonardo da Vinci

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Zoroaster
Utente Senior

Città: Pavia


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Inserito il - 26 settembre 2008 : 15:23:38 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Dario... non ci crederai... ma mio cugino è riuscito a vedere la quinta dimensione e a fare un disegno con il colore ultravioletto!!!



"E ove un dolente suono arcano a udir ti cogli, come se li nostri andati cari, fra noi qui sono in terra, e invocan, con voce mesta, o luce tenue e ignota, o tanfo estremo e nauseabondo, ecco, lì la mirauda ha ancor alcova, e la sua fetida stirpe ancor dà prole!"
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Francesco Ciabattini
Utente Senior


Città: Roma
Prov.: Roma

Regione: Lazio


3437 Messaggi
Macrofotografia

Inserito il - 26 settembre 2008 : 16:06:27 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Molte delle problematiche esposte in questo topic sono state ampiamente esaminate in questa discussione:
Link
laddove i diversi punti di vista si sono confrontati, ahimè, non senza scintille e contrapposizioni spesso al di fuori dei canoni del garbo e della cortesia!
Non intendo intromettermi nuovamente nel dibattito anche se non esprimere sia pure un fugace accenno a tali precedenti avrebbe potuto essere interpretato come un totale disinteresse da parte mia nei confronti di argomenti che determinano inevitabili radicali contrapposizioni, tanto che nella circostanza espressi l'avviso che un pubblico confronto sarebbe stato assai difficile per non dire impossibile!
Sono tuttora convinto di ciò e, mentre confermo le mie opinioni espresse nel topic "Evoluzionismo o creazionismo?" ritengo che un eventuale confronto su problemi esistenziali di tale portata potrebbe aver luogo unicamente tra singoli utenti via e-mail.

Francesco

Si fa presto a dire evoluzionismo Francesco Ciabattini

Link
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theco
Utente Super




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Inserito il - 26 settembre 2008 : 16:22:55 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di D21:
Quindi un cervello che pensi troppo in astratto perderà la logica che gli permette di sopravvivere...


Non solo non sei OT, ma perfettamente al centro della traccia principale che avevo in mente...
Resto ancora in attesa di altri interventi, poi vedrò se mi riesce di insaccare il tuo assist

Ciao, Andrea
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