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 La memoria di una tradizione scomparsa
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pan_48020
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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:07:18 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia


1) Inizio
Non sapevo bene dove inserire questa discussione, e me la sono scritta tutta prima sul PC, una volta terminata, mi è sembrato che andasse benissimo per l'educazione ambientale.

2) Perché scrivo queste pagine?
Dopo molti anni vissuti lontano dalla Romagna, mi sono trasferito nuovamente nella mia prima casa, dove ahimè mio padre era rimasto solo. Ho passato diversi giorni a riordinare la soffitta, ripostigli e garage e fra le molte cose strane spuntate, due in particolare mi hanno trovato del tutto impreparato: "torsel e legol"
Termini dialettali intraducibili che indicavano "cose" per me quasi insignificanti, solo un pezzo di tela bianca arrotolata ed un po' di fibra simile alla stoppa.
Invece si tratta di "oggetti" fortemente legati ad una tradizione contadina che continuava da secoli e che oggi è del tutto scomparsa.
Ecco quanto sono riuscito a recuperare dalla testimonianza diretta di mio padre che ha 80 anni.


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Conoscere gli altri, è saggezza; ma conoscere se stessi è saggezza superiore.

pan_48020
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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:09:26 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
3) Ma di cosa parlo?
Il Pignatti definisce la Cannabis sativa come una specie "coltivata soprattutto in Romagna e nel Napoletano per la fibra, in tutto il territorio negli orti per il seme e frequentemente avventizia".
Un tempo la Canapa si coltivava per ottenere fibre per tessuti e corde, poi l'espansione delle produzioni industriali e la diffusione della sottospecie Cannabis sativa indica con forti poteri stupefacenti, ne hanno fatto una coltivazione economicamente sconveniente e fortemente scomoda.
La canapa nel medioevo divenne una coltura molto diffusa anche in Italia dove rivestì un importante ruolo per oltre 5 secoli.
Che io sappia non esistono più coltivazioni di Canapa da fibra in Italia (qualcuno ne ha notizie? Ma è legale coltivare le varietà da fibra?). Girovagando per monti e paludi, mi è capitato di incontrare qualche isolato individuo, ma non si trattava certo di piante avventizie, piuttosto erano piantagioni clandestine della Cannabis sativa indica.
La coltivazione per i semi avveniva per la produzione di olio usato come combustibile per l'illuminazione e per la produzione di sapone, comunque non divaghiamo e torniamo al fatto principale, e cioè che molte famiglie contadine della Romagna coltivavano un piccolo appezzamento di canapa ("e canaver", il canapaio) per usi domestici.
Ciò che scriverò di seguito corrisponde a quanto avveniva regolarmente ogni anno nella mia famiglia sino agli anni 50.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:10:51 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
4) La semina
La semina si faceva nello stesso periodo della semina delle barbabietole, ovvero per San Giuseppe (19 marzo, giorno più giorno meno). I semi si trovavano facilmente sul mercato, oppure erano prodotti direttamente seminando una decina di piante ben distanziate tra loro, in una zona incolta, quali rive o fossi.
La distanza favoriva la crescita di alcune piante più sviluppate ("canavò"), chiamati in gergo maschi (in realtà erano femmine visto che producevano semi) che davano semi sufficienti per l'anno seguente; su 10 piante seminate a distanza 7-8 erano canavò (dimenticavo di dire che Cannabis sativa è una pianta dioica).
Nel fitto canapaio, i canavò, meno pregiati per la fibra erano molto più rari. La superficie coltivata a canna dalla mia famiglia in genere era inferiore ai 1000 metri quadrati, che non sono poi così tanti come può sembrare, dopotutto corrisponde ad un appezzamento di 20 x 50 metri.
Gli uccelli erano particolarmente ghiotti dei semi di canapa ed ogni canapaio aveva necessariamente il suo spaventapasseri ("e spintac de canaver")


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:12:12 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
5) Dove seminare?
Secondo gli anni il luogo era scelto con la funzione di eliminare le infestanti dai campi. Non esistevano diserbanti e l'unica forma di lotta diretta era la zappa; nei terreni in cui cresceva la canapa le infestanti scomparivano diminuendo sensibilmente anche nell'anno successivo.
Mio padre ricorda chiaramente 2 casi di zone infestate; una da gramigna (di difficile estirpazione in quanto richiede la raccolta diretta manuale ed il trasporto in altro luogo) ed una da "spiò" (tradotto suona come "spinone" che dovrebbe corrispondere a Cirsium arvense) felicemente risolte dalla canapa.
Ipotesi
Non sono sicuro, ma la canapa è forse una C4? Se fosse così la fitta concentrazione di piante in piena produzione potrebbe comportare un abbassamento locale della concentrazione di CO2 e quindi una diminuzione della competitività di tutte le altre piante.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:13:46 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
6) Il raccolto
In estate inoltrata (luglio-agosto) avveniva la raccolta delle canne che nel frattempo erano molto cresciute raggiungendo altezze di 2-3 metri.
Il taglio raso terra poteva avvenire direttamente a mano con delle falci di ferro, ma spesso vi erano problemi e soprattutto nelle annate di canne molto fitte questi falci si rompevano facilmente. L'inconveniente era stato risolto utilizzando una falciatrice meccanica azionata dal movimento delle ruote indotto dalla forza stessa che trascinava l'attrezzo, ovvero nel periodo anteguerra una coppia di buoi, nel periodo post-guerra uno dei primi trattori.
Le piante venivano poi stese nell'aia (la corte) ad essiccare. A volte per migliorare l'efficienza si tendevano delle funi cui appoggiare le piante inclinate; la controindicazione era data dal vento che se spirava forte rischiava di spargere ovunque la canapa. Questa prima lavorazione era completa quando le foglie erano disseccate e si disperdevano staccandosi. A questo punto i fusti venivano raccolti in grossi fasci, tali che un uomo riusciva a mala pena ad abbracciarli.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:15:02 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
7) Cos'è il macero
Il macero ("e mesar") era una grossa vasca in mattoni, simile ad una odierna piscina dal cui fondo emergevano delle travi in legno verticali con fori passanti orizzontali, la cui funzione spiegherò più avanti.
Qualche grosso proprietario avevo il suo privato, ma in genere si andava da un macero "pubblico". La mia famiglia abitava nella frazione di Fossolo (tra Russi e Faenza in provincia di Ravenna) ed andava sempre al macero di San Pancrazio (RA) distante una decina di chilometri.
La lavorazione al macero della canapa presupponeva un aiuto reciproco fra le diverse famiglie contadine che lo utilizzavano, e quindi si stabilivano a priori delle giornate in cui andare in gruppo a mettere giù i fasci e giornate in cui tirare su i fasci. In realtà non vi erano ruoli ben programmati, ma era normale che nel giorno in cui si andava al macero si aiutava gli altri presenti e ci si aspettava di essere aiutati.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:16:07 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
8) La macerazione
La macerazione consiste essenzialmente nel lasciare la canapa a marcire sott'acqua per diversi giorni (7-15, fino a 21) in modo da togliere consistenza ai fusti e riuscire a separare la fibra dal resto con successive lavorazioni.
La fibra non subiva sostanziali alterazioni ed era concentrata nella parte esterna del fusto ("boza" ovvero buccia) lungo tutta la lunghezza della pianta. La permanenza in acqua andava ad eliminare la frazione "verde" della pianta, indebolendo soprattutto la parte centrale del fusto ed aiutava la successiva sfibratura (in senso longitudinale) della boza.
Il tempo di macerazione durava in base alla temperatura, all'annata ed al grado di essiccazione della canapa


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:17:18 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
9) Viaggio di andata
Ritorniamo al cortile di casa dove erano disposti i grossi fasci di canapa; dopo l'essiccazione erano relativamente leggeri ed una sola persona riusciva a caricarli sul carro. La quantità coltivata (10 - 12 fasci) era sufficiente a riempire un unico grosso carro trainato da due buoi. Si partiva a piedi di buon mattino sino ad arrivare al macero di San Pancrazio posto poco sotto l'argine del fiume Montone.
Nelle giornate di carico veniva abbassato un poco il livello dell'acqua (circa 1,5 metri).
I grandi fasci messi in acqua galleggiavano ed il peso di una sola persona a cavalcioni non era sufficiente a farli affondare. Ci si aiutava a vicenda per immergere i fasci che dovevano rimanere incastrati e bloccati sotto la superficie con l'aiuto di bastoni infilati nei fori passanti delle travi. Le travi verticali delimitavano zone ben precise ed ognuno pagava in base alle quote utilizzate. Chi aveva piccoli raccolti spesso si univa per prendere assieme una quota.
Terminati i lavori il livello dell'acqua tornava sui 2 metri circa.



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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:18:21 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
10) Viaggio di ritorno
Dopo una o due settimane o poco più si partiva di buon mattino col carro vuoto trainato da 4 buoi, di cui 2 prestati dal vicino che spesso veniva anche lui per dare una mano (l'aiuto era reciproco).
L'acqua del macero era verde, ed emanava un odore putrido che si sentiva anche a distanza. In quest'acqua ci si immergeva, sbloccando i fasci marcescenti, che ancora galleggiavano, ma che erano divenuti pesantissimi
Un lato della vasca aveva una rampa per facilitarne il recupero; le quote vicino alla rampa costavano di più, mentre quelle lontane erano meno onerose.
Per alzare un fascio da terra si faceva leva con un bastone e ci volevano almeno tre persone per caricarlo sul carro.
Verso sera si tornava a casa con il carro sgocciolante e fetido, a piedi, con i vestiti sgocciolanti e fetidi.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:20:14 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
11) Seconda essiccazione
A casa si aprivano i fasci e si stendevano per la corte per farli asciugare. Se l'essiccazione era veloce (3-4 giorni), la fibra veniva bella, buona e chiara, se invece c'erano problemi o pioveva, la fibra era peggiore e più scura.
La macerazione aveva indebolito soprattutto la parte centrale del fusto (pochissimo la corteccia); la lavorazione successiva prevedeva di piegare con forza la canapa in modo da separare e spezzare la parte interna che rimaneva comunque parzialmente intrappolata dentro la corteccia e frazionata in tanti cilindretti disposti in serie detti "canarèl" (cannarelli).
La boza si piegava sfibrandosi longitudinalmente ma non si rompeva, questa lavorazione molto faticosa si attuava con attrezzi specifici come "grhma" e "gramèt"; a mani nude si rischiava di tagliarsi. Nei casi più resistenti si metteva una fascio di canapa sporgente da un piolo di una scala e si colpiva con forza usando un bastone. Per lavorare tutta la canapa ci voleva una settimana circa.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:21:45 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
12) Arrivano i "canavir"
A questo punto entravano in gioco i "canavir" (canapieri o canavieri), figure specializzate che vagavano per la campagna in molte case. Portavano con loro una serie di "pettini", specifici attrezzi costituiti da piastre irte di numerose punte metalliche di dimensione variabile a seconda del tipo di pettine. In genere le punte metalliche erano della grandezza di una penna sfera o di un chiodo.
Con una notevole manualità i "canavir" sbattevano la canapa lavorata sui pettini e tiravano con forza, eliminando i "canarèl" rimasti e la frazione non fibrosa della corteccia. La prima lavorazione restituiva le fibre migliori, più lunghe e morbide, ma recuperando la parte rimasta fra le punte dei pettini si eseguiva una seconda lavorazione che dava comunque una buona fibra (stoppa di seconda) utilizzata per le corde buone; infine la terza lavorazione restituiva una fibra scarsa utilizzata per costruire le brevi corde "stoppaciose" utili unicamente per legare i bovini nella stalla.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:23:00 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
13) Primo prodotto, i "canarèl"
I "canarèl", quindi erano dei piccoli cilindretti costituiti dalla parte legnosa centrale del fusto staccati dalla corteccia durante la piegatura e recuperati dopo il lavoro dei "canavir". Questi cilindretti venivano raccolti, in quanto bruciavano molto facilmente; spesso si faceva bollire un po' si zolfo e se ne immergevano le estremità creando i "suifnal" ovvero grossi "zolfanelli" che non funzionavano come fiammiferi, ma avevano bisogno di almeno una sola piccola brace per accendersi. In questo modo i fuoco si poteva trasportare ovunque e ravvivare velocemente utilizzando una manciata di "canarèl".


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:24:47 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
14) Secondo prodotto, la stoppa per le corde
La "stoppa di terza" come ho già detto veniva usata unicamente per intrecciare corde "stoppaciose" di scarsa qualità utilizzata per legare i bovini nella stalla.
La "stoppa di seconda" era invece più pregiata e si utilizzava per fare diversi tipi di corda.
Il lavoro dei campi e l'allevamento del bestiame presupponeva l'utilizzo di molti tipo si corda variabili per lunghezza e dimensioni, ogni tipo aveva uno specifico utilizzo e spesso un apposito nome. Ad esempio una delle corde più grosse e pesanti era chiamata "piadura" e si usava solamente per legare la cima del timone del carro alle corna dei buoi di testa. L'attacco speciale, con la piadura, si metteva quando il carro era a pieno carico e si doveva percorrere una discesa per evitare che i buoi venissero travolti dal carro stesso.
La coltivazione della canapa fra i contadini era considerata indispensabile soprattutto per risparmiare sull'acquisto delle corde.
Tutto cominciò a cambiare quando arrivarono gli americani durante la guerra, questi usavano un nuovo tipo di corda (corda americana la chiamavano i contadini) che lentamente entrò in commercio ed alla fine degli anni 50 la si trovava in vendita ovunque a buon mercato e questo scoraggiò notevolmente la coltivazione della canapa.


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Inserito il - 01 marzo 2008 : 21:33:22 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
15) Terzo prodotto, la fibra tessile
La fibra tessile ottenuta dalla prima lavorazione dei "canavir" passava in mano alle donne che cominciavano un lungo lavoro.
Per prima cosa veniva lavata, sbianca e raccolta in piccole matasse ("legol") pronta per essere filata.


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Ora devo andare... la seconda parte la prossima volta che mi collego
ciao



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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:04:25 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
16)Tessitura
La sbiancatura si eseguiva col "rhn" (o "ran" credo in italiano si chiami ranno) ovvero si metteva sul fondo di una grossa "mastella" la canapa, poi veniva coperta con uno strato di robusta tela grezza e sopra uno strato di cenere; infine veniva versata acqua bollente.
Una volta sbiancati lavati ed asciugati i "legol" erano filati e raccolti nei "ruchet" (roccoli, roccoletti) pronti per essere utilizzati dal telaio.
Vi era una complessa serie di lavorazioni che portava dalla fibra grezza al filato attorno ad un fuso, alla creazione di una matassa ed all'avvolgimento in un ruchet. la qualità del prodotto era fortemente influenzata dalla bravura di chi lo faceva; questo in genere era un lavoro che spettava all'esperienza delle nonne.
Se assimiliamo la tela ad una rete, allora si può dire che le linee verticali erano impostate subito sul telaio, mentre le linee orizzontali venivano intrecciate man mano che si procedeva con la tessitura facendo scorrere la spola.
La prima operazione per la tessitura era quindi quella di ordire ("urdì"), predisponendo le "linee verticali" con un'apposita attrezzatura che permetteva di ordinare in serie il filato e trasferirlo in seguito sul telaio.
Il telaio poteva essere ordito sia con canapa che con cotone appositamente acquistato, mentre per le "linee orizzontali" si usava solamente canapa. La tessitura era eseguita dalle donne, soprattutto le ragazze ancora nubili.
La tela ottenuta usando solo canapa era più economica e più resistente, ma anche più ruvida e più scura, mentre la tela ottenuta usando cotone e canapa era meno resistente, ma più morbida e chiara.
Vi era poi la possibilità di fare anche la "mezza lana" in cui si ordiva il telaio con canapa e si intrecciava con lana.
Il telaio restituiva una tela larga circa un metro e lunga diverse decina di metri a seconda delle impostazioni.
La tela andava nuovamente sbiancata ("rhn"), lavata ed asciugata e poi arrotolata molto strettamente in cilindri ("tursel", torselli).
Un metodo aggiuntivo per sbiancare, era quello di stendere al mattino presto (prima dell'alba) la tela sopra l'erba a prendere la rugiada e ritirarla quando si asciugava al sole mattutino. Questo metodo era molto usato, anche se oggi direi che è improponibile.


Tursel nella mia soffitta:
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Modificato da - pan_48020 in data 02 marzo 2008 13:05:40
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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:07:31 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
17) Utilizzo della tela
Ogni ragazza si preparava il corredo partendo dalla tela dei "tursel"; con la canapa si facevano lenzuola, federe, asciugamani e tovaglie.
Per le lenzuola di un letto singolo si cucivano assieme 2 "strisce" di tela (la larghezza delle "strisce" era quel metro circa che restituiva il telaio), per il letto matrimoniale bastavano 3 strisce.
Una volta pronto il corredo andava di nuovo sbiancato lavato ed asciugato.
La canapa era troppo ruvida per poterne ricavare vestiti se non nel caso dei "rigadè" ovvero pantaloni estivi da lavoro, forse scomodi, ma certamente resistenti e a buon mercato. Quando i pantaloni si infangavano non era un problema, poiché una volta essiccata la terra si sbriciolava e si staccava lasciando la tela di nuovo bianca. Vi era anche la versione invernale del "rigadè", cucita utilizzando la tela di "mezzalana" (lana e canapa).


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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:12:30 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
18) Le iniziali
Spesso erano aggiunti ricami e pizzi per le tovaglie, mentre sulle lenzuola e federe del corredo le ragazze in genere cucivano con cotone le proprie iniziali.

FA le iniziali di mia madre:
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FA le iniziali di mia madre:
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FA le iniziali di mia madre:
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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:15:11 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
BG le iniziali di mia nonna paterna:
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Durante la guerra ha allevato 6 figli ed ospitato diversi parenti sfollati, del suo corredo è rimasto ben poco, poiché lo ha utilizzato in mille modi per tirare avanti

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Modificato da - pan_48020 in data 02 marzo 2008 13:33:30
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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:17:15 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia

CM le iniziali di mia nonna materna:
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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:20:23 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia

Particolare delle federe di mia madre, con fiori di cotone e motivi a lato creati mettendo in rilievo il tessuto di canapa:
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Rilievi del tessuto di canapa visti da dietro:
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Inserito il - 02 marzo 2008 : 13:25:27 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia

Tenda di casa:
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Un utilizzo recente del tessuto di canapa, usato da mia madre per creare una tenda che separa il soggiorno dall'atrio delle scale. Le monto ogni inverno perchè in questo modo l'aria calda non sale e si risparmia sul riscaldamento.

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