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Bigeye
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Regione: Lazio
6269 Messaggi Flora e Fauna |
Inserito il - 27 maggio 2008 : 21:10:30
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Note biografiche:
Biologo, è attualmente professore ordinario di entomologia agraria ed applicata presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo. Ha insegnato Zoologia generale agraria e forestale, Zoologia venatoria e Zooecologia e biodiversità. Il suo campo di interessi scientifici comprende la faunistica, la sistematica di uccelli ed insetti, la biogeografia insulare, l’ecologia della predazione, la biologia riproduttiva degli uccelli, censimenti e stime quantitative con diversi metodi, il ruolo della vegetazione spontanea in agricoltura integrata e le interazioni esistenti tra insetti fitofagi e loro antagonisti su piante spontanee e piante coltivate. Ha svolto varie ricerche per conti di enti pubblici e privati ed ha tenuto rapporti di collaborazione con enti scientifici e musei di diversi Paesi europei e arabi.
Bruno Massa 98,83 KB
1)Caro Bruno, mi interesserebbe conoscere il tuo parere sullo stato dell’arte dell’ornitologia italiana all’inizio del terzo millennio. Gli ornitologi italiani sono in fase di crescita (sul piano delle conoscenze), in fase inflattiva (sul piano numerico) o alla perenne ricerca di identità?
L’ornitologia italiana è sempre stata viva e vitale, ci sono ornitologi italiani che vanno a svolgere la loro professione all’estero e sono molto apprezzati. Se discutiamo di numeri, questi sono sempre stati bassi, ma in generale non è che in Italia ci siano squadre di zoologi! La percentuale di giovani ornitologi (ma anche di entomologi) è sempre stata molto bassa, il ricambio generazionale è scarso, quindi non ci aspettiamo in futuro grandi numeri, sul modello britannico. Non fanno parte della nostra cultura. Gli ornitologi italiani pubblicano su tante riviste, anche di buon livello, con “impact factor”, come dicono gli addetti alle valutazioni. Non voglio entrare nel merito del livello delle varie riviste, ma desidero sottolineare che in Italia esistono riviste più che dignitose che languono per carenza di articoli di buon livello; questi ultimi ormai sono dirottati quasi sempre verso riviste straniere. Credo che tutti noi dobbiamo fare uno sforzo per mantenere le riviste ornitologiche italiane che hanno una buona tradizione e per fare questo non possiamo solo limitarci a dire ai più giovani di mandare articoli. A parte questa considerazione, poi mi sento, da biologo, di fare anche una riflessione: nel corso della nostra esistenza noi abbiamo assistito ad incredibili ed inattese fluttuazioni numeriche di uccelli, sia in senso negativo sia positivo, e se ripercorriamo la bibliografia storica ne troviamo altre. Se gli organismi fluttuano numericamente nel corso del tempo, perché non deve succedere agli ornitologi? Al momento siamo in una fase di flessione della curva.
2)Appassionati, birders, professionisti, pubblicazioni elettroniche in serie, accademia, mailing list e siti web. A tuo avviso la sinergia tra questi soggetti e media è sufficientemente sviluppata o potrebbe essere maggiormente dinamica e fruttuosa?
Pur essendomi perfettamente integrato nel sistema elettronico e ritenendomi abbastanza “digitalizzato”, amo ancora leggere i libri e le riviste di carta, stampo gli articoli in pdf e li leggo, non li consulto al computer. Forse questa mia passione per la carta mi rende scarsamente entusiasta nei confronti delle mailing list; anche se talvolta può essere utile essere informati giorno per giorno su certe osservazioni, non mi pare che sia stato dimostrato che questo abbia comportato una rivoluzione nella nostra attività di ricerca. Inoltre, mi è capitato di leggere qualche acceso dibattito elettronico e non mi sono piaciuti i toni e lo stile dell’approccio, anzi alle volte li ho trovati sgradevoli. Quindi mi astengo dal frequentare questi siti, pur dedicando un po’ di tempo alla ricerca bibliografica in internet. Pur rispettando il gravoso lavoro dei gestori e coordinatori delle mailing list, mi sento troppo lontano dallo spirito che ha ispirato la loro nascita. Questo non significa che non approvi questo movimento del terzo millennio, ma solo che mi tengo in disparte, preferisco non entrare nella mischia.
3)In questo momento, Bruno, quali sono le ricerche in cui sei impegnato e i progetti in fase di realizzazione a cui dedichi le tue energie e competenze?
Le persone a cui è stata data l’opportunità di avere una buona documentazione scientifica e gli strumenti per un’adeguata diffusione, secondo me hanno il dovere di dedicare parte del loro tempo ad una dignitosa divulgazione scientifica. Viviamo in una società tendenzialmente ed ottusamente antropocentrica e tutto quello che possiamo fare per spostare l’atteggiamento dei nostri simili, anche di pochi millimetri, verso una posizione più biocentrica, sarà in ogni caso un grande successo. La mia più recente attività divulgativa è un libro in corso di stampa con la casa editrice A. Perdisa “In difesa della biodiversità”, su cui ho lavorato per un anno. Un altro lavoro realizzato recentemente è l’Atlante di tutti i Vertebrati terrestri di Sicilia, per il quale hanno fornito dati quasi 100 collaboratori. È un po’ una sintesi sull’argomento, penso che verrà distribuito dopo l’estate. Le nostre ricerche scientifiche in ambito ornitologico rientrano principalmente in tre filoni: 1) da 16 anni seguiamo una popolazione di cince (cinciarella e cinciallegra) con il metodo delle cassette-nido ed abbiamo raccolto un’incredibile mole di dati sui sistemi trofici cince-insetti-qualità dell’habitat; 2) seguiamo vari aspetti della biologia riproduttiva della berta maggiore e dell’uccello delle tempeste, rispettivamente dal 1982 e dal 1986, in due isolette siciliane; 3) da otto anni realizziamo una stazione d’inanellamento nell’isola di Ustica e da cinque nell’isola di Marettimo nel periodo 15 aprile-15 maggio (progetto piccole isole dell’INFS) e negli ultimi cinque anni abbiamo ripetuto l’esperienza anche in ottobre per tre settimane. Penso che ci sia abbastanza materiale per scrivere articoli scientifici ed opere divulgative nei prossimi anni. Quello che manca è il tempo per sedersi e fare un po’ di elaborazioni, soprattutto se si considera che queste sono solamente alcune delle attività scientifiche a cui ci dedichiamo.
4)La crisi in cui versa l’I.N.F.S. che fatica a trovare una corretta soluzione, a tuo avviso rappresenta il sintomo di un paese a bassa “caratterizzazione naturalistica” o può in parte riflettere le difficoltà di indirizzo dell’Ente e del suo funzionamento recente? La mia opinione è che quali siano le cause, la presenza di un ente centrale con funzioni di indirizzo e coordinamento è assolutamente indispensabile. Forse un’articolazione policentrica e con maggiore apertura all’esterno sarebbe utile, ma servirebbero risorse che in questa fase sembra manchino anche per gli aspetti gestionali ordinari. Dobbiamo tuttavia continuare ad avere un approccio positivo e fattivo. Ma io devo solo fare le domande, pardon.
Un’istituzione tecnico-scientifica dovrebbe essere del tutto libera politicamente; per l’INFS, come per altri istituti italiani con caratteristiche simili, penso che non sia stato così. Mi spiego meglio: il fatto che a capo di un’istituzione scientifica sia posto un presidente scelto all’interno di una rosa di estrazione ministeriale non è una scelta libera, ma condizionata dalla politica. Negli ultimi dieci anni l’INFS è stato direttamente dipendente prima dalla Presidenza del Consiglio, poi dal Ministero dell’Ambiente; se c’era un Ministero da cui doveva dipendere è quello della Ricerca, lo stesso da cui dipende l’Università. E come all’interno dell’Università non ci sono cariche politiche, ma gli organi sono eletti dalla base, all’INFS le cariche non dovrebbero essere decretate da un Ministro, bensì dallo stesso personale dell’Istituto. L’INFS in fondo è come un grande Dipartimento universitario, dove il Direttore è votato dai suoi componenti. Quindi non sto dicendo cose assurde, semmai è assurdo che un presidente scelto da un ministro, a sua volta scelga il direttore. Si sfiora il conflitto d’interessi. Con questo non intendo censurare il lavoro svolto dai passati presidenti e direttori, ma voglio dire che il metodo è sbagliato e di conseguenza certe scelte poi si trovano davanti ad un bivio, in cui una strada è senza uscita. Fortunatamente resta la possibilità di scegliere l’altra strada… Tra il 1998 ed il 2002 ho fatto parte del Consiglio Direttivo dell’INFS, in qualità di esperto indicato dal Ministero dell’Ambiente (in questo caso incarico politico o tecnico?); il Consiglio si è occupato prevalentemente di aspetti burocratici, di approvazione di bilanci e cose simili, raramente si è parlato di ricerca. Sono restato abbastanza deluso da questa esperienza, perché non ritengo di avere fornito alcun contributo da tecnico, semmai fosse stato necessario. L’INFS è un’istituzione molto vitale, dove si fa un’attività di ricerca applicata di buonissimo livello, i ricercatori sono sempre molto aggiornati e rappresentano un importante riferimento, direi obbligato, per molti colleghi che lavorano all’Università o svolgono la libera professione. Molte Università hanno contatti strettissimi e frequenti con l’INFS e questa è una dimostrazione indiretta che è un ente di ricerca. I vertici politici hanno capito l’inutilità della presenza di tecnici nel Consiglio Direttivo ed invece di modificare i compiti del Consiglio, hanno preferito modificare i criteri di scelta dei consiglieri, che ormai sono solamente di estrazione politica. La situazione in cui si è trovato l’INFS negli ultimi anni è indubbiamente la prova che la politica deve restare fuori da queste istituzioni; io non credo che il Ministero della Ricerca si potrebbe permettere di non versare nelle casse delle Università la dotazione economica, come si è verificato più volte per l’INFS. Peraltro, mentre le Università hanno introiti propri attraverso le tasse pagate dagli studenti, l’INFS non riceve analoghe entrate. In Italia l’INFS non opera solo perché esiste l’attività venatoria e deve quindi dare pareri su prelievi e stagioni di caccia, ma anche perché il Paese, facendo parte dell’Unione Europea, ha sottoscritto due Direttive (79/409, detta “Uccelli”, e 43/92, detta “Habitat”) per l’applicazione e l’aggiornamento delle quali sono necessari continui monitoraggi, cui solo un’istituzione come l’INFS può essere preposta. E questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare tanti altri, da cui emergerebbe l’indubbio ruolo istituzionale dell’INFS, unico in Italia. In merito all’ipotesi, esistente già in un vecchio progetto, di decentrare l’INFS, creando degli uffici regionali distaccati, si porrebbe il problema di parlare una sola lingua; comunque si tratta di tentare e vedere se la cosa può funzionare. Detto questo, mi pare chiaro che la situazione attuale non sia rosea, esattamente come può non esserlo quella della RAI, in mano ai partiti politici.
5)Vecchia e nuova Sistematica. Splitting continui di specie e gruppi mi pare possano creare una certa confusione anche tra gli addetti ai lavori. Data per buona la tesi che una sistematica moderna non può prescindere da analisi del DNA e da comparazioni di distanze genetiche per separare gruppi (senza però dimenticare gli elementi classici quali oologia, morfometria, comportamento ecc.), non sarebbe opportuno proporre una sorta di moratoria (mettiamo 10 -15 anni) per sedimentare metodi e conoscenze più ampie e verificate e poi costruire il “Sistema nuovo”?
Come saprai, mi occupo attivamente anche di entomologia; la sistematica entomologica, come quella ornitologica, è in continuo fermento, specie messe in sinonimia, poi rivalutate, specie che vengono spostate in altri generi e poi tornano all’origine. Siccome è l’uomo che dà il nome agli altri organismi, mi pare logico che il risultato del suo lavoro sia in continua evoluzione, proprio come l’evoluzione del pensiero; è anche una prova della vitalità della scienza. Questo vale per tutti i settori zoologici (e penso botanici) ed è la tangibile dimostrazione del dibattito continuo che ha luogo in ambito scientifico; non dipende tanto dal fatto che difficilmente due studiosi la pensino esattamente allo stesso modo, ma da approcci lievemente diversi. Buona norma è seguire l’ultima fonte bibliografica, a meno che gli autori non siano caduti in un palese errore. Non c’è un metodo assoluto, se si usa solo l’analisi del DNA, non si riescono a separare fra loro le 400 specie endemiche di pesci della famiglia dei ciclidi del lago Vittoria; allo stesso modo non sono separabili le diverse popolazioni di crocieri che vivono in boschi di conifere differenti, hanno una dimensione del becco diversa e sono segregati riproduttivamente. Esiste nel mondo un gran numero di specie criptiche, che ancora dobbiamo scoprire. Vale per tutti l’esempio della giraffa, che sembra non appartenga ad una sola specie, bensi sia costituita da un gruppo di 4-5 specie fra loro isolate. E stiamo parlando di organismi di una certa taglia! Quindi possiamo solo partecipare a questo risveglio della sistematica, ma non possiamo certo fermare il suo processo in evidente evoluzione. Resta semmai un punto importante, che mi preme sottolineare, e cioè che è sempre opportuno comunicare in una forma divulgativa al largo pubblico i diversi cambiamenti che avvengono nella sistematica e le motivazioni che hanno portato a queste nuove scelte.
6)Anche se gli studi faunistici in Italia sono tuttora prevalenti e la cerchia degli ornitologi “attrezzati” si è allargata non si riesce ad organizzare una task force coordinata a livello nazionale ed articolata su dimensione regionale in grado di monitorare se non tutta l’avifauna italiana (impresa non impossibile) almeno la maggior parte dei taxa ornitici. Io ritengo che ci sarebbero capacità, voglia e motivazione. Come al solito mancano i soldi (verissimo e grave) o siamo anche un pò troppo cani sciolti e pigri?
In effetti il discorso ci porta verso un percorso pericolosamente tortuoso, in cui si intrecciano psicologia ed etologia! Non direi che siamo cani sciolti, anzi siamo abbastanza attaccati al guinzaglio e soprattutto troppo territorialmente competitivi. C’è una competizione talvolta tanto accesa quanto inutilmente infruttuosa, che nasce da manie di protagonismo, sfrenato desiderio di emergere ed un’eccessiva ricerca di “visibilità”, tutti mali tipici degli ultimi decenni. Proprio in merito all’odioso termine “visibilità”, mutuato dalla pubblicità ed entrato correntemente nel vocabolario di persone di ambienti insospettabili, ritengo che sia del tutto privo di senso cercare un’anonima visibilità, in quanto questa si può solo conquistare sul campo, dimostrando di fare e sapere fare il proprio lavoro. Se quello che facciamo deriva da una profonda passione, se il nostro lavoro nasce dalla grande curiosità biofilica che contraddistingue molti di noi, non anteporremo mai la ricerca di visibilità a nessuna delle nostre attività. Fare dignitosamente un lavoro significa innanzi tutto sapere relazionarsi con gli altri, sapere collaborare in modo non competitivo, ma costruttivo, sapere scegliere i collaboratori per raggiungere lo scopo che ci sta a cuore: la crescita della conoscenza. Ogni piccola realtà regionale è un esempio della difficoltà di relazioni tra le persone. E se ci informiamo sul motivo per cui la persona x non può lavorare con y, la risposta è quasi sempre la stessa: incompatibilità caratteriali! Non si possono dare consigli in questo campo, come dicevo all’inizio, qui ci vuole un bravo psicologo o un etologo. Detto questo, mi sembra ovvio che se è difficile coordinare un progetto a livello regionale, per i motivi appena citati, figuriamoci uno a livello nazionale! Non è un problema di soldi, oggi in qualche modo si riesce a trovarne, per alcuni è un problema di ruoli…
7)Gli ornitologi italiani sono stati considerati per troppo tempo dei “paria”, quasi delle schiappe col binocolo a forma di mandolino. Tuttavia mi sembra che la situazione recente sia radicalmente e profondamente cambiata negli ultimi anni. Cosa ne pensi Bruno?
L’ornitologia italiana ha una tradizione di tutto rispetto; non credo che siamo arretrati rispetto ad altri Paesi, o apparteniamo ad una classe ornitologica inferiore, semmai siamo meno intraprendenti, abbiamo una minore forza persuasiva a livello internazionale. Ne sono esempi le diverse specie d’uccelli italiani che avrebbero meritato una particolare attenzione dal punto di vista conservazionistico e che BirdLife International (2004) elenca come NonSpecE, mentre razionalmente per esse sarebbe stato doveroso un riconoscimento quanto meno come Spec3. Da questi elenchi in futuro può scaturire un aggiornamento dell’Allegato 1 della Direttiva Uccelli e quindi il riconoscimento come Spec per una specie non è cosa poco rilevante. È nota la mia posizione critica in merito alle scelte sulle Spec, che in alcuni casi rasenta il ridicolo; si pensi al fatto che storno comune e passero domestico oggi sono Spec3, solo perché in diminuzione in alcuni Paesi dell’areale; tuttavia, hanno ancora popolazioni di milioni di individui ed in un passato recente erano considerati quasi nocivi.
8)I Cambiamenti climatici, il global warming stanno mutando il panorama faunistico italiano. Per l’ornitologia, si sono osservati locali incrementi di popolazioni nidificanti in ambiente xerico e svernamenti di specie che normalmente avevano aree invernali in Africa. Sembrerebbe, senza entrare troppo nel dettaglio, e dato per certo che nessuno voglia andare a cercare Corrioni biondi sulle dolomiti di Belluno, che sul breve e medio periodo il riscaldamento possa essere valutato come fattore ecologico positivo per un numero elevato di specie. Cosa ne pensi Bruno?
Probabilmente i cambiamenti climatici sono troppo lenti (per fortuna) per consentire ad un ricercatore di avvertire sostanziali differenze nei comportamenti riproduttivi e migratori degli uccelli; è vero che l’uomo sta tentando di rendere più veloce il surriscaldamento del globo, ma i tempi sono ancora discretamente lunghi. Sono previsti due scenari entrambi dipendenti dal nostro futuro comportamento; il primo (il peggiore) comporterebbe la triplicazione delle emissioni di anidride carbonica entro la fine del secolo, un innalzamento del livello dei mari tra 22 e 96 centimetri ed un aumento della temperatura media di almeno 3 °C; il secondo scenario (più blando) comporterebbe solo il raddoppio dell’anidride carbonica, un innalzamento del livello dei mari tra 17 e 74 centimetri ed un aumento della temperatura media di 2,2 °C entro la fine del secolo. Se almeno una di queste proiezioni è reale, non c’è da stare allegri, la prossima generazione umana vivrà molto peggio di noi. Voglio ricordare che 5-6.000 anni fa dove oggi c’è il deserto del Sahara c’era un ambiente da savana popolato da una fauna completamente diversa dalla attuale; la desertificazione quindi ha avuto inizio già da alcuni millenni, la responsabilità dell’uomo oggi è maggiore semplicemente perché la Terra è sovrappopolata e l’uomo è certamente più incosciente. Ma torniamo agli uccelli; come dicevo prima, ogni ricercatore nel corso della sua vita avverte dei cambiamenti sostanziali nella frequenza di alcune specie. Ad esempio ventanni fa non si sarebbe pensato che i colombacci sarebbero entrati a far parte dell’avifauna urbana di gran parte delle nostre città e neanche che i gruccioni avrebbero colonizzato minuscole paretine di sabbia a stretto contatto con l’uomo. Sembrava che la tortora dal collare avesse finito la sua avanzata verso ovest, quando invece ha ripreso con impegno il lavoro iniziato ed è scesa anche in Nord Africa. Tutto cambia, si tratta di mettere i cambiamenti in relazione con le cause reali, non apparenti; intendo dire che il fatto che l’aquila minore da alcuni anni sverna nell’area mediterranea non dipende necessariamente da cambiamenti nel clima. Sembra intuitivo, ma secondo me è solo un’interpretazione emotiva, non c’è una dimostrazione del rapporto tra clima e svernamento del rapace. Sembra poi che la maggioranza delle osservazioni sulle variazioni della distribuzione delle specie (uccelli, ma anche insetti) sia stata effettuata nei Paesi più settentrionali, mentre nell’area mediterranea l’effetto è meno evidente. Noi, ad esempio, seguiamo la riproduzione delle cince da 16 anni, abbiamo le date medie di deposizione di ogni anno, che possono variare in relazione alle condizioni climatiche dell’inverno precedente, ma complessivamente nei 16 anni non abbiamo osservato un anticipo della data di deposizione delle uova. Risultati più eloquenti si potranno avere su serie di 50 anni, forse! In conclusione, quindi, ci possiamo aspettare di assistere a dei cambiamenti nell’avifauna, ma non è detto che avverranno solo per i cambiamenti del clima.
9)Ricerca di base e protezione. Mi interesserebbe una tua opinione sul tema in generale. In particolare, l’apporto degli ornitologi alla creazione dei S.I.C. (Siti Importanza Comunitaria) è stato rilevantissimo, tuttavia questo strumento di gestione stenta a decollare, anche se qualche apprezzabile risultato lo abbiamo ottenuto. L’interfaccia ricerca vs. burocrazia è sempre così “terribilmente” insormontabile?
Proprio in questi mesi le regioni più ritardatarie stanno concretizzando la realizzazione dei piani di gestione dei SIC/ZPS, selezionati sulla base di caratteristiche che fanno riferimento alle due Direttive “Uccelli” e “Habitat”. La consulenza dell’ornitologo è in questo caso fondamentale, sia per dare indicazioni volte al mantenimento di habitat per specie elencate nella Direttiva “Uccelli”, sia per aggiornare le schede di base dei singoli siti, sia per suggerire il sistema più razionale per tenere insieme la “rete ecologica”. La “Rete Natura 2000” porta un ritardo di almeno dieci anni; i piani di gestione sono certamente un passo importante, ma sono pur sempre dei pezzi di carta; in un certo senso sono il progetto per “costruire” qualcosa, ecologicamente parlando, ma prima che questo sarà operativo passerà ancora molto tempo, ed è questa una ragione per cui l’ornitologia non lega con la burocrazia. Gli ornitologi sono uomini d’azione. C’è una cosa molto buona però: nelle principali associazioni ambientaliste l’ornitologo svolge un ruolo fondamentale ed ha in genere un buon indice d’ascolto.
10)Per finire Bruno e per dare uno spunto agli appassionati e agli ornitologi più giovani, quali sono a tuo parere le linee di ricerca maggiormente trascurate in Italia, quali quelle più urgenti e che a tuo avviso non meritano ulteriore dilazione?
Perché ci sono così pochi ornitologi in Italia che studiano le specie comuni? Perché andare alla ricerca, talvolta ossessiva, delle rarità, quando possiamo avere a portata di binocolo tanti uccelli comuni? Se devo dare un consiglio ai più giovani è proprio questo: iniziate a studiare le specie più comuni, per trovare le quali non si devono fare tanti chilometri e sono relativamente facili da studiare. Poi, con il tempo vi affezionerete ad alcune specie, magari meno comuni, e vi faranno compagnia per il resto della vita…
11)Ringraziandoti di cuore a mio nome e di tutta Natura Mediterraneo, vuoi aggiungere qualche valutazione finale a margine?
Una domanda che faccio provocatoriamente a qualche studente è questa: “Preferisci un cielo pieno di rondoni vocianti o senza rondoni?” Non attendo mai la risposta perché nei miei confronti sarebbe fin troppo scontata, però la domanda continuo a farla per invitare ad una riflessione sul rapporto che abbiamo con la natura. La maggioranza delle persone è completamente “metropolitana”, nel migliore dei casi non conosce la differenza tra rondoni e rondini, nel peggiore neanche si accorge che dai primi di aprile i cieli d’Europa pullulano di questi uccelli; il problema reale è la mancanza assoluta di un rapporto biofilico con il resto dei viventi. Questo porta a guardare la natura come una curiosità della domenica, a fare una classificazione tra beni umanistici e beni naturalistici, a tenerci abbastanza lontani dai problemi ecologici, come se riguardassero un altro Pianeta. Gli ornitologi hanno il privilegio di conoscere ed osservare gli uccelli e di poter raccontare agli altri tante cose sulla vita segreta di questi animali; li invito ad usare questa singolare cultura per accrescere negli altri l’interesse per il mondo che ci circonda e far nascere la curiosità per le infinite relazioni tra gli organismi. Sono certo che ne resteranno soddisfatti. Io comunque insisto su questa strada; mi piace ispirarmi alla filosofia di Churchill, e cioè che “nella vita, anche se si passa da un fallimento ad un altro, è importante non perdere l’entusiasmo”.
Angelo okkione Meschini
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