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Bigeye
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6269 Messaggi
Flora e Fauna

Inserito il - 14 maggio 2008 : 04:45:57 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Note biografiche:

Nato il 4 gennaio 1957 a Milano.
1979 Laurea in Scienze Naturali
1986 Conservatore del Museo di Zoologia L. Spallanzani del Dipartimento di Biologia Animale dell'Università di Pavia.
1998 Professore Associato di Ecologia del Comportamento e Zoologia Applicata presso la Facoltà di Scienze MM FF NN dell'Università di Pavia.

Attività didattica:

Corso di Ecologia del Comportamento
Corso di Zoologia Applicata
Corso di Biosensori e bioindicatori

Attività scientifica:

Lavora presso il Laboratorio di Eco-Etologia del Dipartimento di Biologia Animale – Università di Pavia

Argomenti di ricerca:
Dinamica di popolazione in Anseriformi e Strigiformi (Aves)
Comportamento territoriale e selezione dell'habitat in Strigiformi (Aves)
Ecologia trofica in Ardeidi, Meropidi e Strigidi (Aves)
Socialità e kin selection di specie coloniali e semi-coloniali in Ardeidi, Meropidi, Apodidi e Strigidi (Aves)
Comportamento riproduttivo e cure parentali in Ardeidi, Strigiformi e Coraciformi (Aves)
Segnali e comunicazione (Bioacustica) in Strigiformi , Irundinidi (Aves) e Testudinidi (Reptilia)
Selezione sessuale in Strigiformi, Irundinidi, Testudinidi e Decapodi (Crustacea)
Polimorfismo di colore negli Uccelli

dal 2003 al 2007 è stato Editor della rivista di Ornitologia scientifica Avocetta, Journal of Ornithology.

È autore di 157 lavori scientifici suddivisi in 79 full papers (53 su riviste ISI), 51 abstracts, 16 tra libri, manuali e capitoli di libri, 11 articoli su riviste di ampia divulgazione.





Paolo Galeotti
L''Okkione intervista Paolo Galeotti
104,52 KB






1)Caro Paolo, mi interesserebbe conoscere il tuo parere sullo stato dell’arte dell’ornitologia italiana all’inizio del terzo millennio. Gli ornitologi italiani sono in fase di crescita (sul piano delle conoscenze), in fase inflattiva (sul piano numerico) o alla perenne ricerca di identità?


Il mio parere spassionato, purtroppo, è che all’inizio del terzo millennio l’ornitologia italiana sia in una fase di grave crisi, per non dire di agonia, sia in termini di cultori sia in termini di produzione delle conoscenze. I motivi che mi spingono a formulare un giudizio così duro sono molti, in parte contingenti, in parte di lungo corso. Innanzitutto, il numero esiguo di ornitologi, soprattutto “professionali”, intendendo con questo termine chi esercita almeno part-time il mestiere di ornitologo, fa ricerca di base o applicata e produce articoli scientifici o relazioni tecniche. Grosso modo, queste persone non superano la trentina e di queste solo la metà sono strutturate in Università, Musei, Parchi Nazionali e altre Istituzioni pubbliche. Dispongono pertanto di scarsissimo peso sul piano politico-culturale, nonché su quello mediatico, e questo ha ovviamente impedito l’instaurarsi di “scuole” a livello nazionale che fungessero da richiamo e indirizzo per le nuove generazioni. I temi di ricerca affrontati e i metodi utilizzati sono certamente al passo con il dibattito scientifico internazionale, così come la produzione di articoli su riviste di alto livello, ma difficilmente o mai si instaurano scambi tra questi ricercatori professionisti e le altre componenti dell’ornitologia italiana..
Anche “gli amatori evoluti”, cioè coloro che leggono le riviste nazionali del settore e partecipano fattivamente alle iniziative di ricerca promosse dalle varie associazioni ornitologiche presenti in Italia (es. Progetto Ardeidae, Progetto Cormorano, ecc.), ma che difficilmente producono articoli scientifici basati sui dati raccolti, sono in diminuzione a giudicare dal numero di abbonati ad Avocetta negli ultimi 5 anni, e globalmente non assommano a più di 200 persone.
Oltre a questi gruppi, abbastanza facilmente identificabili, esiste certamente un’area di appassionati bird-watchers che sfugge peraltro a un censimento preciso, ma che potrebbe assommare qualche migliaio di persone (penso alla Lipu, penso a Ebn). In generale queste persone, pur entusiaste ed appassionate, non partecipano se non sporadicamente alla ricerca ornitologica in Italia. Sono essenzialmente interessate all’avvistamento di specie, alla conservazione, magari, di zone localmente significative per l’avifauna e poco più.
Dunque siamo pochi, in costante contrazione, con un aggiornamento culturale approssimativo e soprattutto non si vede assolutamente un ricambio generazionale perché sono veramente molto pochi i giovani reclutati nell’ultimo decennio. Così gli ornitologi hanno tutti un’età media ben sopra i 40 anni.
Allora, è l’ornitologia tout court a non “tirare” più? Io credo che in realtà l’ornitologia, così come altre branche del sapere zoologico (teriologia, ittiologia, erpetologia), abbiano sempre avuto vita gramissima in un paese del tutto indifferente allo studio e alla conservazione dell’ambiente e delle specie animali. Inoltre, nell’ultimo decennio, e qui vengo a un fattore contingente, la politica “ambientale” in senso lato, pur sempre nutritasi di grandi parole e progetti reboanti ma di scarse realizzazioni concrete, sta segnando vistosamente il passo o è passata del tutto in terzo o quarto piano, sia per motivi “ideologici” sia per motivi “economici”. Per quasi tutta la classe politica italiana è ben noto che l’ambiente non è altrimenti utile che per costuire residences, centri commerciali, discoteche, industrie e quant’altro; dunque “perché spendere soldi per correre dietro agli uccellini?” (parole del Presidente del Parco dei Colli di Bergamo). Se la scelta è tra uomo e “orso” si privilegia inevitabilmente il primo. I finanziamenti dunque, già non voluminosi negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, si sono ulteriormente assottigliati e questo ovviamente impedisce il reclutamente di energie fresche e giovani, per esempio nelle varie istituzioni di ricerca statali. In mancanza di una svolta epocale nelle politiche ambientali del Paese, credo che l’ornitologia sia più o meno destinata a vivacchiare assai miseramente anche nel prossimo futuro..



2)Appassionati, birders, professionisti, pubblicazioni elettroniche in serie, accademia, mailing list e siti web. A tuo avviso la sinergia tra questi soggetti e media è sufficientemente sviluppata o potrebbe essere maggiormente dinamica e fruttuosa?


Direi che ci si ancora pochissima o nessuna sinergia tra birders e accademia. A parte gli “amatori evoluti” le due realtà non comunicano affatto o comunicano solo localmente. Questo dipende da svariati motivi, non tutti facilmente identificabili, ma credo spesso di carattere psicologico. L’Università ad esempio viene percepita come spocchiosa e burocratica da molti birders, i quali d’altra parte sono estremamente gelosi dei dati raccolti e restii a fornire qualche ausilio. Il tutto crea ovviamente un cortocircuito comunicativo che impedisce l’instaurarsi di collaborazioni bidirezionalmente proficue, e impedisce che dati anche preziosi vedano mai la luce.



3)In questo momento Paolo quali sono le ricerche in cui sei impegnato e i progetti in fase di realizzazione a cui dedichi le tue energie e competenze.


Attualmente mi interesso di vari gruppi animali, rettili e crostacei per esempio; non solo quindi di Uccelli. Continuo comunque a studiare i sistemi di comunicazione, sia visivi che acustici, degli Strigiformi e il fenomeno del polimorfismo di colore in tutti gli Uccelli.



4)La crisi in cui versa l’I.N.F.S. che fatica a trovare una corretta soluzione, a tuo avviso rappresenta il sintomo di un paese a bassa “caratterizzazione naturalistica” o può in parte riflettere le difficoltà di indirizzo dell’Ente e del suo funzionamento recente? La mia opinione è che quali siano le cause, la presenza di un ente centrale con funzioni di indirizzo e coordinamento è assolutamente indispensabile. Forse un’articolazione policentrica e con maggiore apertura all’esterno sarebbe utile, ma servirebbero risorse che in questa fase sembra manchino anche per gli aspetti gestionali ordinari. Dobbiamo tuttavia continuare ad avere un approccio positivo e fattivo. Ma io devo solo fare le domande, pardon.


Concordo con te sull’assoluta imprescindibilità di un Ente Centrale per la Fauna con funzioni non solo di indirizzo e coordinamento ma anche strategico-decisionali. Per il resto, credo che l’INFS risenta, come ho già detto sopra, in primo luogo di un clima assolutamente sfavorevole alle politiche ambientali basate sulla serietà scientifica, e in secondo luogo anche delle gestioni confuse e sterilmente burocratiche di un recente passato.



5)Vecchia e nuova Sistematica. Splitting continui di specie e gruppi mi pare possano creare una certa confusione anche tra gli addetti ai lavori. Data per buona la tesi che una sistematica moderna non può prescindere da analisi del DNA e da comparazioni di distanze genetiche per separare gruppi (senza però dimenticare gli elementi classici quali oologia, morfometria, comportamento ecc.), non sarebbe opportuno proporre una sorta di moratoria (mettiamo 10 -15 anni) per sedimentare metodi e conoscenze più ampie e verificate e poi costruire il “Sistema nuovo”?


Il tuo auspicio è chiaramente illusorio e forse dipende dal fatto che l’Italia è, dal punto di vista della ricerca ornitologica, una “periferia” scalcinata in senso generale, pur disponendo di alcuni ricercatori di assoluta eccellenza internazionale. La ricerca ornitologica negli altri paesi occidentali, penso a Gran Bretagna, Stati Uniti, Olanda, Paesi Scandinavi, ma anche la Spagna, è infatti avanzatissima e feconda: nuovi metodi, nuovi strumenti, nuove scoperte, nuovi temi di ricerca si affacciano continuamente, in pratica ogni mese, sulla ribalta scientifica. Tra queste novità, un posto significativo occupano le ricerche filogenetiche basate sull’analisi molecolare. Non è possibile in nessun modo “arrestare” questo sviluppo impetuoso, o proporre moratorie, anche perché ormai la sistematica basata sul lavoro fondamentale di Sibley & Ahlquist (1990), è la SISTEMATICA odiernamente utilizzata. Ogni nuova scoperta viene incasellata in questa cornice di riferimento e non sembra poi così difficile adottare rapidamente le nuove conoscenze sistematiche. Chi si ferma è perduto, ora come sempre.



6)Anche se gli studi faunistici in Italia sono tuttora prevalenti e la cerchia degli ornitologi “attrezzati” si è allargata non si riesce ad organizzare una task force coordinata a livello nazionale ed articolata su dimensione regionale in grado di monitorare se non tutta l’avifauna italiana (impresa non impossibile) almeno la maggior parte dei taxa ornitici. Io ritengo che ci sarebbero capacità, voglia e motivazione. Come al solito mancano i soldi (verissimo e grave) o siamo anche un pò troppo cani sciolti e pigri?


La seconda che hai detto. I soldi son sempre stati pochi, ma una volta c’era forse più entusiasmo, volontarismo e voglia di fare e collaborare, probabilmente perché il clima politico-culturale era favorevole e noi tutti eravamo giovani. Tuttavia, devo sottolineare che i neghittosi e i cani sciolti, gelosissimi della loro autonomia, sono sempre stati maggioranza nell’ambiente ornitologico italiano.



7)Gli ornitologi italiani sono stati considerati per troppo tempo dei “paria”, quasi delle schiappe col binocolo a forma di mandolino. Tuttavia mi sembra che la situazione recente sia radicalmente e profondamente cambiata negli ultimi anni. Cosa ne pensi Paolo?


Purtroppo, e questo credo si sia già capito, non mi faccio alcuna illusione sul fatto che la situazione ornitologica sia profondamente cambiata rispetto al passato. Gli ornitologi (ma in genere tutti gli zoologi) vengon considerati ancora alla stregua degli acchiappafarfalle ottocenteschi o poco più. C’è da dire che l’ornitologo “medio” italiano non fa molto per sfatare questa immagine. Abbiamo magari persone che sanno distinguere al canto la cannaiola dalla cannaiola verdognola, magari sono in grado anche di raccogliere buone masse di dati se opportunamente indirizzati, ma spesso non gli si può chiedere di scrivere più che una lista faunistica delle specie del proprio paesello. La cronica, paurosa scarsità di lavori scientifici minimamente interessanti, metodologicamente robusti, da pubblicare su Avocetta, è l’indicatore più impietoso del livello scientifico medio raggiunto dall’ornitologia italiana, che è assolutamente non attrezzata a far fronte alla competizione internazionale.



8)I Cambiamenti climatici, il global warming stanno mutando il panorama faunistico italiano. Per l’ornitologia, si sono osservati locali incrementi di popolazioni nidificanti in ambiente xerico e svernamenti di specie che normalmente avevano aree invernali in Africa. Sembrerebbe, senza entrare troppo nel dettaglio, e dato per certo che nessuno voglia andare a cercare Corrioni biondi sulle dolomiti di Belluno, che sul breve e medio periodo il riscaldamento possa essere valutato come fattore ecologico positivo per un numero elevato di specie. Cosa ne pensi Paolo?


In effetti, concordo sui benefici a breve.medio termine del global warming per quanto riguarda alcune specie migratrici a breve raggio e le specie residenti, che, nidificando anticipatamente possono fare più covate, svernano più spesso e hanno ampliato il loro areale di nidificazione (oltre al corrione ho in mente il gruccione, la spatola, il guardabuoi, l’airone bianco maggiore, la garzetta). C’è però da dire che i migratori a lungo raggio non hanno variato se non di poco le date di arrivo e pertanto giungono in Europa tardivamente per approfittare del picco anticipato di abbondanza di prede; inoltre le specie di ambiente freddo stanno probabilmente subendo effetti negativi in termini di contrazione di areale dal riscaldamento del clima, quindi è ancora prematuro poter esprimere un giudizio ponderato e definitivo sul fenomeno.



9)Ricerca di base e protezione. Mi interesserebbe una tua opinione sul tema in generale. In particolare, l’apporto degli ornitologi alla creazione dei S.I.C. (Siti Importanza Comunitaria) è stato rilevantissimo, tuttavia questo strumento di gestione stenta a decollare, anche se qualche apprezzabile risultato lo abbiamo ottenuto. L’interfaccia ricerca vs. burocrazia è sempre così “terribilmente” insormontabile?


Ritengo la ricerca di base lo strumento principe per dare l’avvio a serie politiche di conservazione e gestione dell’ambiente e della fauna. Su questo non ci piove. Il problema, come dici tu, è il passaggio dalle conoscenze e dai progetti alle realizzazioni concrete e qui entra in campo la politica lungimirante e la buona amministrazione, due componenti assolutamente latitanti in Italia. Con ciò non voglio dire che laddove, per cause locali contingenti, si sia creata un’operosa interfaccia tra ricercatori e amministratori, non sia stato possibile arrivare alla istituzione di Riserve, Oasi, SIC e quant’altro. Ho ad esempio in mente che la Provincia di Pavia e la Regione Lombardia hanno attivamente e preziosamente collaborato con il Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia per arrivare alla protezione di tutti i siti di colonie di Ardeidi, di cui sono anche stati stilati i piani di gestione ambientale (istituzione anni ’80, piani di gestione anni’90). E questo si è certamente verificato anche in molte altre realtà geografiche e amministrativeNell’ultimo decennio però, qualcosa si è inceppato. La politica di protezione e gestione ambientale ha troppi costi, soprattutto politici. L’istituzione di aree protette è avversata spesso e volentieri dalle comunità locali, che vedono in esse “lacci e lacciuoli” che impediscono “il libero sviluppo” economico cui sono prioritariamente interessate, e dunque i politici si guardano bene dall’inimicarsi fette consistenti dell’elettorato promuovendo questo genere di iniziative.



10)Per finire Paolo e per dare uno spunto agli appassionati e agli ornitologi più giovani, quali sono a tuo parere le linee di ricerca maggiormente trascurate in Italia, quali quelle più urgenti e che a tuo avviso non meritano ulteriore dilazione?


Per dirla tutta, tutte le tematiche ornitologiche meritano un’attenzione particolare nel nostro paese. Sappiamo ancora poco o nulla di tante specie, abbiamo pochissimi dati sia sull’effettiva entità delle popolazioni che sulle loro dinamiche riproduttive. Pochissimi sono gli studi di carattere eco-etologico, ancor meno quelli di carattere eco-fisiologico (parassiti, ormoni, anticorpi, carotenoidi). Anche gli studi di filogeografia basati sulle analisi molecolari sono pochissimo diffusi, per non parlare delle ricerche di bioacustica. In pratica, a parte le liste faunistiche che spero abbiano davvero fatto il loro tempo, c’è ancora quasi tutto da fare. Questo, per un giovane appassionato che si accosta all’ornitologia, dovrebbe costituire di per sè uno stimolo potente e efficace.



11)Ringraziandoti di cuore a mio nome e di tutta Natura Mediterraneo, vuoi aggiungere qualche valutazione finale a margine?


Spero di non essere fucilato dagli Ornitologi Italiani!







Angelon okkione Meschini









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