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 LICHENI
 Roccella..strana
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Caterina Azara
Utente Senior

Città: Sesto San Giovanni
Prov.: Milano

Regione: Lombardia


688 Messaggi
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Inserito il - 14 gennaio 2011 : 10:22:13 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Salve a tutti!
Le fo to sono del 13 gennaio 2011, scattate su una parete graniti non lontana dalla Costa Paradiso (OT), sulle Bocche di Bonifacio. Questa Roccella non mi convince. Reazione C-, anche il tallo è molto particolare, non mi sembra la solita R. phycopsis o R. fuciformis. Qualcuno potrebbe aiutarmi ad identificarla?

foto 1
Immagine:
Roccella..strana
91,32 KB

foto 2
Immagine:
Roccella..strana
76,33 KB

foto 3
Immagine:
Roccella..strana
41,58 KB

foto 4
Immagine:
Roccella..strana
74,17 KB

un saluto e grazie
Caterina

Modificato da - Forest in Data 14 novembre 2014 15:22:11

ARMANDO TOMAS
Utente nuovo

Città: BARCELONA


12 Messaggi
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Inserito il - 14 gennaio 2011 : 16:44:24 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Creo se trata de una especie rarísima y amenazada, Ingaderia troglodytica Feige & Lumbsch.

En España se ha encontrado cerca de la costa, siempre en acantilados, y en cuevas de la roca. Adjunto un ejemplar precioso bajo el Faro de la Mola, en la Isla de Formentera, islas Baleares (España)
Immagine:
Roccella..strana
94,88 KB

Ver otra imágen mía del ambiente en Digitalnatura con comentarios y bibliografía de la especie:

Link

Un saludo, desde Barcelona

Armando Tomás
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Caterina Azara
Utente Senior

Città: Sesto San Giovanni
Prov.: Milano

Regione: Lombardia


688 Messaggi
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Inserito il - 14 gennaio 2011 : 18:42:39 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di ARMANDO TOMAS:

Creo se trata de una especie rarísima y amenazada, Ingaderia troglodytica Feige & Lumbsch.

En España se ha encontrado cerca de la costa, siempre en acantilados, y en cuevas de la roca. Adjunto un ejemplar precioso bajo el Faro de la Mola, en la Isla de Formentera, islas Baleares (España)
Immagine:
Roccella..strana
94,88 KB

Ver otra imágen mía del ambiente en Digitalnatura con comentarios y bibliografía de la especie:

Link

Un saludo, desde Barcelona

Armando Tomás



WOW!!!!!Grazie Armando! E molto interessanti i tuoi links
C'erano solo quattro talli di questa specie, su un'unica parete, insieme a numerosi talli di Roccella phycopsis. Ad una cinquatina di metri di distanza, in una fessura della roccia, ho trovato altre..'Roccelle strane', ma le foto son venute pessime....ci tornerò

Un saluto dalla Sardegna....
Caterina
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nimispl
Utente Senior

Città: Trieste
Prov.: Trieste

Regione: Friuli-Venezia Giulia


2313 Messaggi
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Inserito il - 14 gennaio 2011 : 21:25:45 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Non è Ingaderia, è una delle Roccelle 'difficili' per l'Italia.
Chi ci lavorerà su?
Ingaderia per me è un mistero: forse 'non esiste', forse è solo un'escrescenza che origina da licheni crostosi per idratarsi.
Servono dati molecolari...
Chi ci lavorerà su?
ciao a tutti
PL

Modificato da - nimispl in data 14 gennaio 2011 21:36:40
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Sonia
Utente Senior

Città: Roma


523 Messaggi
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Inserito il - 14 gennaio 2011 : 21:38:23 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
grazie, veramente interessante, mai vista. :)
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Poli
Moderatore

Città: Genova


321 Messaggi
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Inserito il - 17 gennaio 2011 : 13:17:21 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Neanche a me sembra ingaderia... però è davvero strana
Grazie ancora Caterina!

A presto, Poli

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La Società Lichenologica Italiana (SLI) è una società scientifica dedicata alla diffusione e al progresso degli studi lichenologici in Italia.
Veniteci a trovare!
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Poli
Moderatore

Città: Genova


321 Messaggi
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Inserito il - 17 gennaio 2011 : 13:19:36 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Se ricordo bene, Renato e Lucy avevano in mente un progettino per Ingaderia... che ne dice reben?

Ciao ciao, Poli

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Reben
Utente Junior

Città: Firenze
Prov.: Firenze

Regione: Toscana


95 Messaggi
Micologia

Inserito il - 17 gennaio 2011 : 14:12:44 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
...concordo sul fatto che non sia Ingaderia.
Il progettino per adesso è ancora li ad aspettare per "mancanza di fondi"

ciao a tutti
Renato

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La Società Lichenologica Italiana (SLI) è una società scientifica dedicata alla diffusione e al progresso degli studi lichenologici in Italia.
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[/quote]
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Caterina Azara
Utente Senior

Città: Sesto San Giovanni
Prov.: Milano

Regione: Lombardia


688 Messaggi
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Inserito il - 17 gennaio 2011 : 22:31:36 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
ciao a tutti....
le altre...Roccelle strane

foto 1
Immagine:
Roccella..strana
101,56 KB

foto 2
Immagine:
Roccella..strana
93,16 KB

foto 3
Immagine:
Roccella..strana
87,53 KB

foto 4

Immagine:
Roccella..strana
47,08 KB







foto 5
Immagine:
Roccella..strana
63,43 KB

foto 6
Immagine:
Roccella..strana
48,09 KB

foto 7
Immagine:
Roccella..strana
44,41 KB

un saluto
Caterina
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Poli
Moderatore

Città: Genova


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Inserito il - 18 gennaio 2011 : 11:42:36 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Davvero interessante Caterina, brava! Le Roccelle hanno spesso una medulla colorata alla base del tallo (infatti venivano anche usate per fare colorazioni naturali dei tessuti... e questo non ha certo aiutato la loro conservazione!!!).
Come diceva PL, questo tallo che hai forografato è davvero strano. Meriterebbe un'occhiata attenta.
Qualcuno degli amici del forum ha sottomano un po' di bibliografia recente sulle Roccelle mediterranee?

ciao ciao, Poli

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nimispl
Utente Senior

Città: Trieste
Prov.: Trieste

Regione: Friuli-Venezia Giulia


2313 Messaggi
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Inserito il - 23 gennaio 2011 : 18:46:36 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di Poli:

Le Roccelle hanno spesso una medulla colorata alla base del tallo (infatti venivano anche usate per fare colorazioni naturali dei tessuti...

Errorillo di Poli: l'unica Roccella nostrana che ha la base del tallo colorata è R. phycopsis (la base è di color ocra). Ma le Roccelle non erano usate per tingere i tessuti a causa delle basi colorate: dopo opportuni trattamenti molte di loro producono un pigmento rosso.
Perchè (=a causa di quali sostanze?), come (come si faceva?), quando?
Sarebbe bello se qualcuno nel Forum Licheni riassumesse la storia delle Roccelle come materiale per tingere i tessuti. Ne verrebbe fuori una storia interessantissima...
ciao a tutti
PL
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FOX
Moderatore


Città: BAGNO A RIPOLI

Regione: Toscana


21536 Messaggi
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Inserito il - 23 gennaio 2011 : 19:37:25 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia




Uno interessante, non specifico, ma qualcosina dice: QUI



simo




Osserva in profondità, nel profondo della natura, solo così potrai comprendere ogni cosa. - Albert Einstein
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gorzano
Utente Senior

Città: nettuno
Prov.: Roma

Regione: Lazio


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Inserito il - 23 gennaio 2011 : 21:51:57 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
allora, per quello che letto (in buona parte su Licheni di R. Piervittori), i principi che danno proprietà tintorie a licheni sono acidi... incolori! Gli acidi roccellico, lecanorico, evernico, eritrenico... devono essere sottoposti a fermentazione alcalina, ovvero trattati con orina putrefatta (!), soda, ammoniaca o altro, perché si trasformino in orcina ed eritrina (non so che cosa siano precisamente da un punto vista chimico), che in presenza di ossigeno, finalmente, danno i tipici coloranti rosso-violetti.
Il prodotto ricavato dalla fermentazione è la "pasta d'oricello", violacea, la cui soluzione acquosa è colorata in violetto e col cloruro ferrico e allume dà una tinta rosso-bruna o rosso-ciliegia.
C'erano comunque molte ricette e si usava anche, invece della pasta, l'estratto in diverse concentrazioni.
Al giorno d'oggi i coloranti artificiali hanno sostituito ovviamente i diversi preparati di oricello. Deduco tuttavia da una veloce ricerca che la pasta di oricello si doveva trovare in commercio fino a non molto tempo fa: la usavano i liutai, magari qualcuno la usa ancora, sarebbe interessante saperlo.
Ho trovato poi assai intrigante scoprire che l'antica famiglia patrizia fiorentina dei Rucellai deve la sua fortuna, e anche il nome, all'oricello. Pare infatti che nel '300 una tale Federigo riscoprì nel corso di un viaggio in oriente questo colorante e si mise a commerciarlo in mezza Europa arricchendo tutta la famiglia, che prese quindi il nome di Oricellai poi mutato in Rucellai. Wikipedia riporta nomi e date diverse, ma sostanzialmente la storia rimane questa. Altri testi (Google libri offre pagine interessanti...) attribuiscono ai Rucellai proprio l'invenzione dell'oricello.
C'è anche da aggiungere che con fermentazione più lunga e complessa - con aggiunta di un carbonato alcalino (?) - si ottiene la laccamuffa, usata per il tornasole.

Per finire un'interessante link: Link

Grazie Pierluigi per avermi spinto a rileggere qualche pagina e anche a cercare qualche notizia in più...


gorzano
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nimispl
Utente Senior

Città: Trieste
Prov.: Trieste

Regione: Friuli-Venezia Giulia


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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 15:12:51 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
,...grazie Gorzano!
La storia del lichene sardo è interessantissima!
Non ho ancora capito che lichene fosse: invece della Roccella (l'"erba nera"?) potrebbe essere proprio Ochrolechia parella, che ha proprietà tintorie.
ciao
PL
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Caterina Azara
Utente Senior

Città: Sesto San Giovanni
Prov.: Milano

Regione: Lombardia


688 Messaggi
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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 15:46:10 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di nimispl:

,...grazie Gorzano!
La storia del lichene sardo è interessantissima!
Non ho ancora capito che lichene fosse: invece della Roccella (l'"erba nera"?) potrebbe essere proprio Ochrolechia parella, che ha proprietà tintorie.
ciao
PL


..non so perchè..ma non mi convince. Gli scozzesi, gli inglesi, i francesi conoscevano bene Ocrolechia parella sin dai tempi più antichi. venivano nel Mediterrano a raccogliere quello che definivano 'il lichen di mare' che dava il pregiato color violetto, Roccella phycopsis,il più simile all colore della porpora derivata dai gasteropodi marini del genere Murex, e lo distinguevano dal 'lichene di terra', Ochrolechia parella, appunto. Io ho pensato più a Lasallia Pustulata e specie affini, anch'esse dal potere tintorio, che diventano molto scure quando secche, magari alla Roccella fuciformis, che spesso trovo scurissima, o a questa..roccella 'difficile', scura, di cui però, visto che non reagisce alla varechina con un rosso sgargiante...non so se abbia anche ..proprietà tintorie. Chiaro..solo ipotesi...
ciao
Caterina
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nimispl
Utente Senior

Città: Trieste
Prov.: Trieste

Regione: Friuli-Venezia Giulia


2313 Messaggi
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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 17:01:56 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
...si, però:
"il lichene oggetto della diatriba, secondo i commercianti sassaresi era l’Oricello tramontana (Lichen Portulatus), denominato volgarmente “Erba nera”. Secondo gl’inglesi, invece, il loro lichene, del quale solo nel 1827 era stata definita la specie botanica, era il Lichen Parellus , ben differente dal Portulatus."
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Poli
Moderatore

Città: Genova


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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 17:06:18 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Se non ricordo male Paolo Modenesi e altri miei colleghi avevano fatto una presentazione sull'argomento qualche anno fa ad un convegno della SLI.
Intanto che provo a convincerli ad un intervento nel forum vi riporto l'abstract della comunicazione. Ciao ciao, Poli

COLORANTI DAI LICHENI: PROCEDURE DI PREPARAZIONE E NOTE STORICHE

Paolo MODENESI, Barbara SATURNO, Guido RIZZI
DIP.TE.RIS, Dipartimento per lo Studio del Territorio e delle sue Risorse, Sede di Botanica, Università degli Studi di Genova, Corso Dogali 1/m, 16136 Genova

La presenza di metaboliti secondari giustifica l’uso tradizionale dei licheni
nella preparazione di farmaci, profumi e coloranti. I primi hanno ancora
interesse scientifico ed economico. La preparazione di sostanze coloranti è,
invece, obsoleta o ha solo un interesse di nicchia, e i relativi protocolli sono
incompleti e datati. I coloranti sono impiegati da millenni nelle arti decorative,
nella tintura delle stoffe, della pelle, della pietra e nella cosmesi, ma spesso i
materiali e le tecniche sono ignoti. Dalle sostanze licheniche possono derivare
due tipi di coloranti, distinti per le modalità di impiego nell’industria tessile:
indipendenti (o diretti) e coloranti al tino. Questi ultimi derivano da sostanze
insolubili in acqua, che in condizioni riducenti e alcaline sono convertiti nella
forme leuco, solubili. Queste per ossidazione danno pigmenti insolubili. I
coloranti indipendenti si ottengono invece per semplice bollitura dei talli in
acqua e danno colori gialli, marroni e verdi. Quelli al tino si ottengono per
immersione dei talli in una soluzione acquosa di ammoniaca. Durante la
macerazione i depsidi e i depsidoni sono idrolizzati ad ac. orsellico che per
decarbossilazione forma orcinolo. Questo reagisce, attraverso reazioni di
condensazione, incorporando azoto dall’ammoniaca per dare una miscela di
fenoxazoni che collettivamente sono chiamati orceina. In dipendenza della
specie usata e del tipo di fenoxazoni che si producono si ottengono diversi
colori brillanti ed intensi. Sono state verificate le capacità tintorie di 30 specie di
licheni su lana grezza con entrambi i metodi. I campioni di lana tinta ottenuti
costituiscono una documentazione dei prodotti che possono derivare dalle
sostanze licheniche di diverse specie e che possono essere confrontati con
antichi manufatti colorati per il riconoscimento del materiale e delle antiche
tecniche di manifattura.

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FOX
Moderatore


Città: BAGNO A RIPOLI

Regione: Toscana


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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 17:50:21 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia



Grazie Poli!



simo


Osserva in profondità, nel profondo della natura, solo così potrai comprendere ogni cosa. - Albert Einstein
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PUNTILLO
Utente Senior

Città: Montalto Uffugo
Prov.: Cosenza

Regione: Calabria


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Inserito il - 24 gennaio 2011 : 17:56:54 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ho un ricordo molto bello di Marettimo quando io, il Prof. Nimis, l'amico Prof. Poelt ed al. abbiamo raccolto per la prima volta Ingaderia troglodita e ricordo che si discuteva se si sviluppasse sul tallo di Dirina. Questo morfotipo ricordo non ha cortex e si disfaceva nel maneggiarlo per cui per preparare dei campioni di erbario usammo della garza per preservarlo. Non abbiamo mai approfondito l'argomento.


Link

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Poli
Moderatore

Città: Genova


321 Messaggi
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Inserito il - 25 gennaio 2011 : 10:19:31 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Avete notato quanti buoni argomenti di ricerca (floristica, ecologica, biologica s. str.) saltan fuori semplicemente postando alcune foto???
Di mio, purtroppo, noto anche quanti ne ho dovuti lasciar perdere a malincuore per questioni di tempo, di denaro (e perchè no! Anche di capacità )
C'è qualche studente che bazzica nel forum? Per chi ha voglia e passione c'è ancora un mare di cose originali e coinvolgenti da studiare...

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PM
Utente nuovo

Città: Zoagli


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Inserito il - 28 gennaio 2011 : 10:05:52 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Cari tutti, sono stato invitato da Poli a partecipare alla discussione su Roccella, parteciperò inviando una parte di un articolo apparso su una rivista di erboristeria, Natural 1, nel 2009. Le procedure di colorazione sperimentate si riferiscono ad una tesi di laurea in Tec Erboristiche, ci sono naturalmente delle immagini che qui ho omesso, buona lettura
PM

COLORANTI DAI LICHENI: NOTE STORICHE E PROCEDURE DI PREPARAZIONE
Paolo Modenesi, Barbara Saturno, Guido Rizzi


L’antico detto genovese: Drappo e cô fan all’ommo onò (pron. Drappu e cu fan all’ommu onù: Stoffa e colore fan all’uomo onore) suggerisce due considerazioni. La prima è che si tratta di un efficace slogan promozionale per la vendita di stoffe colorate. La seconda illustra una situazione che doveva essere piuttosto comune nei tempi antichi, almeno precedenti la metà dell’800 e che si proponeva ogni volta che veniva formulato il pensiero: cosa mi metto oggi.
Il pensiero naturalmente è comune anche attualmente e la risposta, per molti, è ancora problematica, ma almeno oggi, possiamo affrontare in parte la soluzione contando su un gran numero di colori e sui loro accostamenti in stoffe grazie alla scoperta del chimico inglese Henry Perkin.
La scoperta è del 1856, anno in cui venne sintetizzata una miscela di 4 composti denominata porpora di anilina o mauveina (malvina), il primo colorante sintetico, poi brevettato dallo stesso Perkin, che divenne un grande successo commerciale e che diede inizio ad una innumerevole serie di prodotti coloranti di sintesi. La scoperta di Perkin è un bell’esempio di serendipità: la situazione di scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra, ma riconosciuta grazie alle conoscenze ed alla capacità intuitive dell’osservatore. Si racconta che durante la banale procedura di pulizia di vetrerie impiegate per una sintesi non riuscita di chinino a partire dal catrame di carbone, Perkin si accorse che un precipitato scuro si scioglieva nell’alcool dando una bella colorazione violetta, malva se molto diluita, era nata l’industria dei coloranti sintetici e la possibilità di ottenere stoffe colorate a basso costo.
Prima di quella data i coloranti erano di origine naturale, ottenuti da piante, animali ed altro ed erano caratterizzati da procedure a volte complesse di ottenimento, pratiche maleodoranti, trasporti costosi dai luoghi d’origine del materiale grezzo, numerosi operatori impiegati, ricettari segreti, stabilità delle tinte limitata, tutti fattori che si traducevano in un elevato costo, necessità di ricambio ed una accessibilità limitata alle classi abbienti.
Possiamo capire meglio ora la seconda considerazione suggerita dal detto genovese: doveva essere sconfortante aprire l’armadio o la cassapanca per chi, provvisto di misurate risorse economiche, poteva permettersi una demoralizzante serie di indumenti marroni o grigiastri e solo sognare rossi sgargianti, gialli solari ed azzurri cielo. Il marrone stinto se indossato, pur dignitoso, avrebbe immediatamente denunciato il livello sociale di chi lo indossava.
Il colore, quello bello, era roba da ricchi e legato al potere, Cosimo de ‘ Medici tra le indicazioni per il gentiluomo che voleva conquistare e mantenere visibilità e potere suggeriva: “vesti rosato e parla poco”.
Fin dall’inizio della sua storia, l'uomo ha cercato di riprodurre i colori della natura che lo circondava ricavandoli da foglie, frutti, cortecce, radici, licheni, funghi, insetti, molluschi e minerali. Alcune piante, le più apprezzate per le loro proprietà coloranti, sono state raccolte allo stato spontaneo o coltivate e commerciate, divenendo strumenti economici importanti ed influendo in maniera determinante sui commerci, sulle esplorazioni e quindi sullo sviluppo della storia dei paesi interessati. Le materie prime dei coloranti erano cosi importanti da determinare il nome di paesi e civiltà, è il caso dei Fenici. Con questo termine (Phoinikes) era chiamato dai greci un popolo appartenente al ceppo linguistico semitico che abitava le coste dell’attuale Libano. Essi erano organizzati in famose città stato come Biblo, Sidone e Tiro. L’importanza di questo popolo la conosciamo tutti. L’origine del nome è legata al termine sempre greco phoinix che identificava il principale prodotto dell’industria di quel popolo: la porpora detta reale.
Il famoso colorante dell’antichità era ricavato dalle ghiandole ipobranchiali di molluschi di varie specie del genere Murex. La procedura di estrazione era lunga e complessa, per ottenere un grammo di colorante occorrevano dagli 8000 ai 12000 molluschi. E’ chiaro il costo e quanto fosse considerato di lusso portare tessuti di quel colore, a Roma era il color oficialis, esclusivo dei consoli, dei senatori, degli imperatori, a Costantinopoli la discendenza reale era detta Porfirogeneta, nata nella porpora. Il fascino della porpora si trasferisce da Roma Impero a Roma Papale, i porporati dovranno rinunciare a quella tinta secoli dopo quando diventerà introvabile e costosissima, passando, per editto papale, al rosso cardinale.
Cominciamo da qui perché la storia dei licheni come materia prima per ottenere coloranti è indissolubilmente legata alla storia della porpora.
Nella Bibbia, possiamo trovare un preciso riferimento al lusso ed al potere delle città fenice in un passo della (amichevole !) Elegia della distruzione di Tiro (Ezechiele 27,7) : ‘…di giacinto e di porpora delle isole di Elisha era il tuo padiglione...’
Secondo gli storici Elisha erano le attuali isole Egee, tra cui Creta ed il riferimento è molto preciso perchè gli archeologi pensano che mentre la commercializzazione e lo sfruttamento della porpora sia un’attività tipica dei fenici, la sua scoperta sia dovuta ai cretesi.
Se andiamo a cercare altri riferimenti troviamo emergere una materia prima usata per la manifattura della porpora diversa dai molluschi. Nel Papiro di Leida, risalente al tardo III secolo d.C., troviamo un primo riferimento, una ricetta per l’imitazione della porpora: ‘Frantuma della pietra di frigia arrostita (solfato di bario), fai bollire in un recipiente dove hai immerso la lana, lascia raffreddare, aggiungi una mina (circa mezzo chilo) di alga marina, fai bollire rimescolando, lascia raffreddare e lava la lana in acqua di mare’. Il papiro contiene una ricca panoramica delle conoscenze tecniche artigianali, relativa all'area egizia e mediorientale, gli studiosi ritengono che i procedimenti descritti siano spesso molto più antichi del papiro e tramandati di generazione in generazione artigiana. Vi sono indicate 99 ricette elencate senza un preciso ordine tra cui quelle per ottenere coloranti per stoffe.
Un altro interessante riferimento ad alghe marine lo troviamo nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, il grande enciclopedista romano morto nel 79 d.C. durante l’eruzione del Vesuvio.
Nel libro 26 cap. LXVI, si può leggere: ‘fucum marinum conchyliis substerni…conchyliate vestis eo colore praeparari’, in altre parole: l’alga marina serve per preparare il colore di base per tingere le vesti di porpora ottenuta dai molluschi (conchiglie). Il termine fucum deriva dal greco phycòs e significa alga. Il termine conchyliate significa tinte di porpora.
Quella di sopra può sembrare un’interpretazione arbitraria degli autori, ma una precisa conferma la troviamo in Teofrasto, il grande filosofo e botanico greco, allievo di Aristotele, morto ad Atene nel 287 a.C. Teofrasto in Historia Plantarum, Libro IV, cap. VII. sostiene l’esistenza di due tipi di alga (phycos): una marina (talassios) che cresce a terra, sulle coste ed una che cresce in mare (pelagios). Prosegue poi dicendo che non tutte le alghe marine sono adatte alla tintura, ma solo quella che cresce a Creta e qui, ricordando le parole di Ezechiele, il cerchio sembra chiudersi.
Una testimonianza più recente l’abbiamo da Joseph Pitton de Tournefort un botanico francese che nel suo libro Relation d'un voyage au Levant del 1715, descrive il Lichen graecus polypodioides tinctorius trovato ad Amorgos (Creta) e afferma che era usato per tingere indumenti dagli antichi abitanti. Sulla base di questo nome è facile riconoscere un genere di licheni oggi noto come Roccella.
Una domanda sorge legittima: se si tratta di un lichene perché lo chiamavano alga? La risposta si può trovare sul numero 62 di questa rivista dove l’argomento è illustrato. In sintesi possiamo ricordare che la natura simbiotica del consorzio lichenico viene chiarita solo alla metà dell’800, prima di allora i licheni venivano assegnati ora ai muschi, ora alle alghe o venivano considerati come gruppo a sé.
Se guardiamo le immagini di Roccella che vive generalmente sulle rupi in prossimità delle coste possiamo capire il possibile equivoco. Johann Jakob Dillen (Dillenius), un botanico tedesco, la illustra nella sua Historia Muscorum (1742) sotto il nome di Coralloides corniculatum fascicolare tinctorius.
Roccella è un genere di licheni essenzialmente sub-tropicale, diffuso nelle regioni costiere, in Italia sono presenti tre specie: R. phycopsis , R. fuciformis e R. tubercolata var. vicentina. R. tinctoria sarebbe un sinonimo di quest’ultima specie.
Le tre specie sono elencate in ordine di rarità crescente e, in Italia, sono per lo più diffuse lungo il litorale tirrenico. Tutte sono adatto materiale di partenza per ottenere coloranti, ma l’ultima è anche la più ricca di precursori e quindi più produttiva. Una nota aggiuntiva interessante è che mentre in Europa il suo uso è esclusivamente tintorio, nelle isole Mauritius viene usata come bechico.
Riassumendo, sulla base delle testimonianze di cui sopra, possiamo pensare che: la manifattura della porpora fenicia prevedeva la pre-colorazione con specie di Roccella che se da sola sarebbe stata non persistente, assieme alla tinta ottenuta da molluschi acquistava una straordinaria, per quei tempi, immutabilità. Il colore risultante sarebbe stato più profondo e brillante e l’uso del lichene consentiva un risparmio di materiale colorante animale. Ma quale era la tinta della porpora reale? Secondo Vitruvio, il grande architetto e scrittore romano, morto nel 23 a.C., dipendeva dal luogo e dal clima: la porpora del Ponto e della Gallia era scura, quella delle regioni ad est ed ad ovest era violacea; quella dei paesi meridionali rossa. In effetti dai diversi molluschi impiegati si potevano derivare coloranti diversi. Quello di Murex brandaris e di Thais haemastoma tende al rosso, quello di Murex trunculus è bluastro. La sovrapposizione delle varie tinte e l’aggiunta di Roccella permetteva un gran numero di gradazioni.
La porpora reale esce di scena a poco a poco, cade l’impero romano, i fenici sono travolti da altri popoli, diventa costosissima ed il segreto della manifattura si perde con la caduta di Costantinopoli. I licheni restano, così come il desiderio di porpora, ed il desiderio viene esaudito, almeno come imitazione, nella Firenze del ‘200.
Si racconta che Ferro o Federico Alamanno, di origine tedesca, durante un suo viaggio nelle isole a levante, sceso a terra ed orinando su delle piante si accorge che queste prendevano un bel colore rosso-viola. In effetti, si tratta del procedimento per ottenere un colore porpora dai licheni ponendoli a contatto con ammoniaca, come vedremo più avanti. Il problema è che l’orina fresca non contiene ammoniaca a differenza di quella vecchia dove si forma per azione batterica. Quindi o Ferro aveva dei problemi ai reni, o era straordinariamente ricorrente, abitudinario e preciso o in altro modo ha appreso il procedimento di produzione del colorante che da allora fu denominato oricello (orcilla, orseille, orchil, oricello, archil, urzela, persis in altre lingue). L’origine del nome è discussa, vi sono tre possibilità: un ipotetico ed oscuro nome locale italianizzato, il liquido organico di Ferro, la derivazione latina da òra = bordo, costa marina e quindi aggettivando oricius = che vive sul bordo delle coste marine. E questo potrebbe anche essere, anche se un po’ intellettuale, visto che Roccella spesso cresce su rupi costiere, ma forse Ferro era colto e dai reni di ferro.
Quel viaggio determinò le immediate e future fortune di Ferro e dei suoi discendenti, che entusiasti per le ricchezze che derivavano dall’oricello ne assunsero il nome, prima Oricellai poi Rucellai. Diventarono i ben noti nobili fiorentini che tuttavia non dimenticarono quel viaggio benedetto ricordato dal loro simbolo di impresa: la vela della Fortuna visibile sulla facciata di S. Maria Novella a Firenze.
L’uso dell’oricello non rimane, naturalmente un segreto, già nel trecento Francesco Datini di Prato lo importa da Maiorca. Poi l’uso si diffonde internazionalmente e nuove e ricche fonti della materia prima vengono scoperte in Africa ed in Asia. In Italia abbiamo altre testimonianze come quella di G.V. Roseto (1540), che nel famoso Plictho de l’Arte de Tentori scrive: ‘Prendi una libbra di Oricello del Levante, bagnalo con un po’ di orina, aggiungi due once precise per ciascuno di sale ammoniacale….’; o come quella di Ferrante Imperato (1540-1565) di Napoli che nella sua opera Dell’Historia Naturale
riporta, per Fuco capillare (R. phycopsis) e per Fuco verrucoso (R. fuciformis) : ‘eccellentissimi nell’uso di tinture’. Ma in Italia, a parte le specie citate sopra, pochissime altre sono riportate per l’impiego in tintoria. Al contrario di altri paesi come Gran Bretagna, Francia e Paesi scandinavi, dove l’impiego di altre specie è comune ed addirittura storico, come riferito per antichi popoli come Pitti, Celti e Vichinghi che impiegavano diverse specie di licheni sia fogliosi che fruticosi o addirittura crostosi come specie dei generi Pertusaria, Ocrolechia, e Lecanora. Del primo ricordo O. tartarea ed O. parella dette l’oricello di terra, o patellaria, nome collettivo che comprendeva diversi licheni coloranti.
L’Italia era quindi un territorio dove i licheni, a parte Roccella, potevano vivere sonni tranquilli, al riparo da raccolte intensive di avidi tintori, un territorio vergine e di caccia quindi per gli appetiti di tintori stranieri.
A questo riguardo Maria Teresa Della Beffa, dell’Università di Torino, ha trovato interessanti riferimenti nell’Archivio di Stato della sua città, dove sono conservati diversi avvisi del governo piemontese sulle incursioni, nella provincia di Nizza e nell’entroterra di Chiavari, di ‘provenzali’ che venivano in Italia per rubare patellaria. Un caso anomalo in questo panorama di disinteresse e quello della Sardegna. Nel 1768 il governo sabaudo incarica Michele Antonio Plazza, un medico torinese di studiare le possibilità di sviluppo economico dell’isola, Plazza è un appassionato botanico, suo è il primo elenco floristico delle piante sarde, sua inoltre è l’osservazione che in Sardegna abbonda la Roccella. Inizia a promuoverne la raccolta (Maddalena, Ogliastra, Limbara, Gallura, Barbagia, insomma ovunque) e, successivamente l’esportazione verso l’Inghilterra. Il volume di materiale grezzo esportato arriva a 30 ton/anno, al prezzo di 60-70 Lire/quintale.
Tutto finisce con la scoperta di Perkin, rimangono in Sardegna i nomi sardi delle roccelle: Sa ciorixèddha, orighèdda, urixèddha e naturalmente un uso locale ristretto a Isili, Tonara e l’oristanese.
E’ possibile ricavare coloranti dai licheni per la presenza in questi di sostanze prodotte dal metabolismo secondario del fungo lichenizzato, queste sostanze sono dette, per la frequente unicità, sostanze licheniche. Rimandiamo, per questo argomento, all’articolo, pubblicato su questa rivista: Licheni, biologia e sostanze attive. Ricordiamo comunque, brevemente, alcuni fatti. Si tratta di piccole molecole organiche, colorate o incolori, depositate extracellularmente in forme pseudocristalline solide sulla superficie del tallo e nelle pareti cellulari fungine. Molte di queste sostanze sono di natura fenolica, depsidi, depsidoni, dibenzofurani, depsoni, chinoni, xantoni. Per la loro diffusione e varietà, la presenza delle più comuni tra queste sostanze è impiegata come carattere diagnostico nella classificazione dei licheni. Tale approccio è impiegato non solo a livello di ricerca scientifica, ma da chiunque si appresti anche per la prima volta a riconoscere le specie licheniche. La tecnica è, infatti, semplificata dall’impiego di opportuni reattivi (per es. idrossido di potassio al 10% e ipoclorito di sodio (candeggina diluita al 50%) che provocano a contatto con le sostanze licheniche depositate, dei fenomeni di ossidazione visibili come viraggi di colore negativi (quando non avvengono) o positivi, questi ultimi percepibili come comparsa di colori rossi, bruni o gialli. Nel caso si ricerchi la possibilità di ottenere coloranti dai licheni i viraggi di colore, soprattutto il test con l’ipoclorito, rappresentano un buon metodo di preventiva selezione. Il test può essere effettuato o sulla superficie del tallo o raschiando via (delicatamente) la superficie nello strato bianco sottostante, questo a causa della possibile diversa localizzazione delle sostanze licheniche.
I coloranti ottenibili dai licheni possono essere impiegati secondo due modalità:
A) come coloranti diretti, quindi senza bisogno di mordenzatura, per semplice bollitura in acqua. Si ottengono così delle tinte gialle, marroni, ruggine, verdi etc. In questo caso avremo un semplice trasferimento di colore dal tallo al substrato
B) come coloranti al tino per macerazione in soluzione ammoniacale, si ottengono così sempre coloranti diretti, ma rosa, rossi, porpora, malva, viola. In questo caso avremo la trasformazione della sostanza colorante contenuta nel tallo.
In entrambi i casi è possibile, volendo, trattare con un mordente che modificherà il colore finale.
Esaminiamo cosa succede nel ‘tino’durante la macerazione dei talli con ammoniaca ed in presenza d’aria: i depsidi e i depsidoni sono idrolizzati ad acido orsellico la cui decarbossilazione produce orcinolo. Questo reagisce, attraverso una serie di reazioni di condensazione, incorporando azoto dall’ammoniaca per dare una miscela di vari fenoxazoni che collettivamente sono chiamati orceina.
Non tutte le sostanze licheniche sono adatte per il metodo al tino, cioè adatte per ottenere colori rossi-viola, il preventivo test con l’ipoclorito, detto sopra, può servire, meglio ancora serve esaminare la formula di struttura delle sostanze secondarie dei licheni che devono avere una configurazione meta degli ossidrili sull’anello aromatico come mostrato dell’orcinolo .
Durante le nostre esperienze ci siamo basati sul testo, davvero bello, di Karen Casselman riportato in bibliografia, abbiamo tuttavia sperimentato delle misure e dei rapporti ponderali, perché non riportati nel testo ed abbiamo sperimentato una ventina di specie tra le più comuni e facili da riconoscere e raccogliere, di seguito saranno illustrati i protocolli.
Per i materiali da tingere abbiamo usato la lana grezza, il problema è stato quello di trovarla rapidamente e facilmente. Quella in gomitoli in vendita al minuto è inadatta, già colorata o trattata in qualche modo dagli opifici, ed abbiamo optato per la facilmente disponibile lana da materassi della famiglia di uno degli autori .
Materiale essenziale occorrente per la tintura: Lana grezza, lavata con sapone di Marsiglia, sciacquata e asciugata. Ammoniaca commerciale. Sale da cucina (NaCl). Termometro. Recipienti tipo beute in pyrex di adatto volume. Piastra riscaldante elettrica. Tallo di lichene secco sminuzzato (per aumentare la superficie di contatto).

Metodo A diretto in acqua:
Preparazione liquido di tintura
• 5g tallo secco frantumato in 200 ml H2O, fare macerare per 24-36 h
• Bollire per 30 min, filtrare il liquido di prima estrazione e metterlo da parte
• Risospendere il tallo in 100 ml H2O, bollire per 30 min, filtrare il liquido di seconda estrazione, c.s. (Eventualmente ripetere tre volte)
• Unire i liquidi di estrazione, lasciare riposare una notte (Liquido di tintura)
Tintura:
• 1g di lana lavata, 1g di NaCl per 2-3 h a 80-90°C nel liquido di tintura, raffreddare per una notte
• Scolare la lana, lavare in acqua fredda

L’aggiunta del NaCl serve per facilitare il passaggio del colorante al substrato. E’ possibile tingere quantità maggiori di lana, non abbiamo verificato il limite di capacità tintoriale. Durante la tintura il liquido non deve bollire.

Metodo B ‘al tino’
Preparazione liquido di tintura
• 1g tallo secco frantumato in 7.5 ml di una soluzione 1:1 di NH4OH e H2O
• Agitare bene a recipiente aperto
• Macerazione: almeno 3 settimane, agitazione saltuaria in recipiente aperto
• Filtrare 30 ml macerato, portare a 180 ml con acqua, aggiungere 1g di NaCl (pH 9) (Liquido di tintura)
Tintura:
• 1g di lana lavata, per 10 min a 82°C nel liquido di tintura, poi per 1 h a 70°C sempre nel liquido, raffreddare per 1 notte, ancora 1 h a 70°C nel liquido, raffreddare per 1 notte.
• Scolare la lana, lavare in acqua fredda

Normalmente erano usati 10-20 g di tallo frantumato in 75-150 ml di soluzione, il volume del liquido era raddoppiato se il tallo assorbendo troppo liquido non rimaneva coperto. Tre settimane è il tempo minimo di macerazione.
Nota finale: le specie più generose per dare colorazioni si sono rivelate Lasallia pustolata e Parmelina tiliacea, ricche entrambe, ma soprattutto la seconda, di ac. giroforico.


Ciao a tutti


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