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elleelle
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Flora e Fauna

Inserito il - 10 marzo 2010 : 14:38:32 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Si è già parlato di questo tema in altre discussioni, in maniera più o meno specifica o incidentale.
Il più delle volte, sullo sfondo della discussione c'era il tema della caccia; un tema che abbiamo deciso di tenere fuori dal forum per molte buone ragioni.
Mi chiedo se possa essere interessante trattare il tema in sé, discutendo dei problemi senza voler necessariamente arrivare alle soluzioni, che, peraltro, possono essere diverse e non necessariamente legate alla caccia.

Alcune domande potrebbero essere queste:

1) I parchi devono essere territori completamente protetti, oppure si devono conservare le attività agropastorali preesistenti all'istituzione del parco.
E, eventualmente, con quali vincoli?
Le visite devono essere incentivate per fare cultura (ed eventualmente, ricavi)o scoraggiate per limitare il disturbo, o limitate alle aree meno sensibili?

2) I parchi, spesso, almeno in passato, sono stati istituiti per preservare una singola specie o alcune specie a rischio. E' un'impostazione ancora valida, oppure bisognerebbe puntare alla conservazione di tutta la biodiversità di quel territorio?

3) L'equilibrio tra le varie specie presenti deve essere lasciato ai meccanismi naturali, anche rischiando una perdita della biodiversità iniziale, oppure dobbiamo intervenire noi per correggere gli squilibri? E quali sono le opzioni possibili?

4) Sappiamo come vengono gestiti parchi simili ai nostri all'estero e quali potrebbero essere le "best practices" da importare? Abbiamo notizia di parchi di successo e parchi "falliti"?

Per aggiungere un elemento di concretezza, allego tre foto fatte in un parco dove i cinghiali, numerosissimi, grufolano continuamente nel terreno creando alterazioni macroscopiche dell'ambiente. E' una situazione comune a quasi tutte le aree protette di pianura e collina.
E' solo un'impressione superficiale, oppure l'opera dei cinghiali deteriora realmente la biodiversità all'interno del parco danneggiando le popolazioni di artropodi, anellidi, rettili e anfibi, oltre quelle degli uccelli che nidificano a terra e dei piccoli mammiferi?

Mi rendo conto che le domande, così come le ho poste, possono sembrare retoriche o, peggio, somigliare in maniera sospetta a quelle che, di solito in forma un po' meno dubitativa, vengono poste dalle associazioni dei cacciatori.
Eppure, penso che di queste cose si potrebbe parlare anche senza pensare per forza a quella soluzione; e quindi si potrebbe cercare di vedere lucidamente se i problemi ci sono e quali sono e definirli senza aver paura di portare acqua ad un mulino che non ci piace.

L'alternativa è che, se assumiamo impostazioni troppo utopistiche, l'istituzione di nuovi parchi potrebbe danneggiare, anziché preservare la biodiversità, determinando uno sviluppo anomalo delle specie più forti a danno delle altre.
Mi ricorda il problema di quando i colonizzatori europei hanno abbandonato di colpo alcuni paesi senza accompagnarli verso un nuovo equilibrio e quelli hanno avuto decenni di guerre fratricide.

luigi



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elleelle
Moderatore Trasversale

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Flora e Fauna

Inserito il - 10 marzo 2010 : 14:40:30 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia

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elleelle
Moderatore Trasversale

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32995 Messaggi
Flora e Fauna

Inserito il - 10 marzo 2010 : 14:41:07 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia

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Acipenser
Utente Senior


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Inserito il - 10 marzo 2010 : 18:44:16 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ciao Luigi, ciao a tutti.

Provo a rispondere ai soli punti che hai numerato, e cercherò di farlo in maniera concisa. Appare chiaro che parte delle cose che dirò avrà valore di opinione personale.

1) Secondo me, caso per caso (e per forza di cose con un certo grado di soggettività eventualmente da minimizzare), andrebbe valutata l’importanza socio-economica e culturale delle attività agropastorali, e sarebbe opportuno considerare anche il valore ecologico delle aree rurali. Tempo fa un amico mi faceva notare l’importanza delle campagne maremmane per la conservazione del biancone. Ad ogni modo, vorrei sottolineare l’importanza della gradualità nel modificare un paesaggio per restituirlo alla natura.

Le visite dovrebbero essere incentivate in alcune aree, limitate in altre. La priorità va data alla conservazione; se per questioni economiche si fosse costretti a disturbare una specie a rischio, in assenza di alternative, lo si faccia. Proteggere poco è preferibile al non proteggere.

2) A mio avviso l’istituzione di aree protette per la protezione di singole specie è ancora una pratica valida. Ci sono ecosistemi relativamente comuni la cui particolare protezione trova giustificazione nella presenza di singole specie rare. Inoltre è possibile che il porre attenzione mediatica su quelle che oggi si chiamano flag species possa aumentare le probabilità di successo di iniziative di tutela (è un vantaggio che cito per completezza, personalmente non amo che si faccia uso di “specchietti per allodole” quando si dialoga con un utenza adulta).
Ad ogni modo, l’impegno alla conservazione di intere aree nella loro integrità è certamente una pratica più matura, che consente di preservare anche quei taxa che altrimenti non sarebbero nemmeno presi in considerazione.

3) Io ritengo che la riduzione di biodiversità (parlo di quella “totale”) sia sempre una sconfitta (faccio mia l’etica “comune” per brevità e per non aprire altri fronti di discussione che qui risulterebbero fuori luogo); quando si perde una specie, o anche solo una popolazione, si apporta un danno pressoché indelebile alla biosfera. Ne consegue che, anche rimanendo in una pragmatica ottica di valutazione di costi-benefici, gli interventi tesi alla conservazione di ambienti peculiari debbano spesso preferire il mantenimento anche artificioso, perché teso ad impedire “spontanee” successioni/variazioni, dei suddetti ambienti.

4) Lascio ad altri (ce ne sono con competenze specifiche) la trattazione di esempi pratici di metodiche di buona e mala gestione. Eventualmente interverrò su questo punto con considerazioni poco più che ovvie.


Tautò tèni zon kài
tethnekós kai egregoròs
kai kathèudon kai nèon kai
gheraiòn tade gàr
metapésonta ekéina ésti
kakèina pàlin táuta.

Eraclito, Frammenti, 88; Di passaggio, Franco Battiato.
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