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Galleria Tassonomica di
Natura Mediterraneo
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theco
Utente Super
6117 Messaggi Tutti i Forum |
Inserito il - 03 maggio 2008 : 16:35:22
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Nelle Pinete ravennati il pino è stato introdotto (oltre 1500 anni fa secondo i documenti, ma probabilmente da molto tempo prima ancora) ed è tuttora mantenuto artificialmente. Il bosco autoctono è formato da un querceto misto (Quercetalia pubescenti-petreae), dominato dalla farnia, compenetrato ad un bosco umido (Populetalia albae), dominato da pioppo e frassino.
Ciò ha scatenato una plurisecolare questione tra i sostenitori del bosco 'naturale' (smettiamo di piantare pini e lasciamo che la farnia riconquisti naturalmente tutto lo spazio) e i sostenitori del bosco 'culturale' (il pino fa parte della storia, della cultura, delle tradizioni millenarie e dello stesso stemma della città di Ravenna e quindi occorre continuare a garantirgli uno spazio).
Nessuno dei due campi ha torto e nel complesso la polemica (a tratti molto aspra) è stata positiva in quanto le due fazioni hanno comunque saputo resistere ai plurisecolari tentativi di una terza fazione, mai sopita del tutto, che sostiene grosso modo: quercia o pino poco importa, atterriamo tutto e creiamo terreni produttivi (agricoli, secoli fa; turistici, oggi).
La storia e il destino comune di quei boschi e di quella città sono un racconto davvero affascinante, che muove da migliaia di anni fa, ma però è poco adatto a questo spazio... ve lo lascio immaginare, tanto in tutti i posti dove un bosco è riuscito a sopravvivere allo sviluppo della nostra specie, dietro non può che esserci una storia affascinante, di alberi e di persone.
Queste sone le cose che ho pensato e ricordato, vedendo gli alberi di questa immagine che vi posto, proveniente da quel bosco (o da ciò che ne rimane).
Cosa vi suggeriscono quei tronchi e quelle radici innaturalmente accostate? Le farnie stanno fagocitando il pino, con l'inevitabile superiore vitalità che dona loro la posizione di autoctonia? oppure lo stanno abbracciando e forse proteggendo dai rigori climatici, spesso fatali per il pino a queste latitudini?
Non so, ditemi la vostra impressione... per quanto mi riguarda penso che un'immagine come questa, nello stemma cittadino, sarebbe più bella e più vicina alla nostra storia.
Lo stemma attuale di Ravenna
Ciao, Andrea
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Modificato da - limbarae in Data 11 ottobre 2011 23:39:46
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limbarae
Moderatore
Città: Berchidda
Prov.: Olbia - Tempio
Regione: Sardegna
12842 Messaggi Flora e Fauna |
Inserito il - 03 maggio 2008 : 17:20:51
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Quesito assai interessante ed arduo da districare. Dove vivo io il problema è esattamente l'opposto: i nostri boschi di querce da sughero e lecci sono stati soppiantati da pinete artificiali cui non ha seguito una reintroduzione di specie autoctone. Il bosco ha quindi cambiato la sua fisionomia già a causa degli incendi e dai disboscamenti selvaggi già dal XVIII sec. Io sono del parere che nel momento in cui una essenza viene inserita in un ambiente naturale, anche se il fine sembra utile e positivo, questa trasformando la fitocenosi originaria ne storce anche l'immagine generale. Non per niente io non amo i pini nelle zone in cui vivo. Essendo stato in Corsica diverse volte ed avendo quindi ammirato le meravigliose foreste di pini di quella straordinaria isola, non posso fare a meno di dire che in quei contesti il pino è perfetto. Da noi no! Basta spostarsi nei supramonti per capire cosa intendo per boschi o foreste sardi, che da noi sono sottoposti alle pressioni dei rimboschimenti a conifere alloctone. Nel caso della tua pineta, sicuramente io ragiono a favore degli alberi primari, che in questa situazione sono pini. Infine, per farti capire che io non disdegno tutti i pini, anzi... ti parlo di un albero che cresce sul monte Limbara: trattasi di un pino (Pinus pinaster Aiton ssp. hamiltonii) che è considerato endemico di Corsica e Nord Sardegna. Questo pino è da noi ormai relitto e relegato in poche zone selvagge mentre in tutto il resto del monte sono stati impiantati milioni di pini di specie differenti (pinea, pinaster s.l., nigra) ma il nostro non viene ricuperato. Fortunatamente nelle località dove questo pino cresce si possono osservare diversi alberelli allo stadio giovanile, ma resta il problema incendi che è una continua minaccia.
chi ama la natura ama se stesso |
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Hemerobius
Moderatore
Città: Alghero
Prov.: Sassari
Regione: Sardegna
4877 Messaggi Flora e Fauna |
Inserito il - 03 maggio 2008 : 22:31:32
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Caro Andrea, hai proposto un tema di discussione veramente importante che non si limita a "pino o quercia" (comunque caso esemplare del dilemma), ma al ruolo dell'uomo nella natura. Sarebbe bello parlarne senza pregiudizi. In alcune discussioni nei forum Anfibi e Rettili sono stati affrontati argomenti simili in relazione ai pericoli di organismi introdotti (anche da lunga data). La posizione più diffusa era un rifiuto preconcetto (nel senso letterale del termine) verso qualunque (dicasi QUALUNQUE) organismo introdotto in qualsivoglia periodo storico. Sintomo di una visione della natura molto idealizzata: tutto si (auto)regola, tutto si armonizza, &c. Sinceramente io credo sia più utile una visione molto più pragmatica e "reale" della natura e, soprattutto, dei problemi. Nel caso dei pini e delle quercie di Ravenna nulla impedirebbe una gestione mista del territorio, con aree a pineta ed altre a bosco "naturale". A cui potrebbe sovrapporsi (per il bosco naturale) un mosaico di aree a tutela integrale, con aree di bosco "produttivo". D'altro canto quanta cultura stiamo perdendo con la perdita di mestieri, lavorazioni, coltivazioni tradizionali? E quanta capacità di attuare un uso sostenibile del territorio. Mi ricorderò sempre una lettura di ormai quarant'anni fa (ho dovuto fare i conti, a me sembra ancora ieri), in un libro di Ecologia di Laura Conti, in cui era spiegato come l'azienda agricola tradizionale padana mantenesse la fertilità dei suoli ed un elevato livello di produzioni praticamente senza consumi energetici esogeni grazie ad un accurato equilibrio della forza lavoro animale, della superficie dell'azienda, della superficie dei singoli appezzamenti, delle rotazioni, dell'uso delle aree marginali, dello sviluppo di quelle che oggi si chiamano "infrastrutture ecologiche" (siepi, capezzagne, &c). Magari, un tempo, anche le pinete ravennati erano gestite così.
Ciao Roberto
verum stabile cetera fumus |
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theco
Utente Super
6117 Messaggi Tutti i Forum |
Inserito il - 03 maggio 2008 : 23:23:03
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| Messaggio originario di Hemerobius: Magari, un tempo, anche le pinete ravennati erano gestite così.
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Caro Roberto, a partire dal 10° sec, fino all'arrivo delle truppe napoleoniche sul finire del 18° secolo, le pinete ravennati sono state gestite da quattro comunità monastiche benedettine. Lo stato pontificio concesse loro l'uso perpetuo delle pinete con un contratto di enfiteusi che consentiva alle abbazie di godere dei frutti del bosco con l'unico onere di migliorare nel tempo la proprietà, che rimaneva in capo all'amministrazione centrale romana. Dovendo i monaci migliorare il bosco, il contratto con Roma prevedeva l'espresso divieto per i monaci di tagliare alberi e commerciare legna.
I monaci contravvennero alla regola concordata e impiantarono un fiorente (e nascosto) commercio di legname che contribuì ad arricchre nel tempo le quattro abbazie, ben più di quanto potevano fare i frutti del bosco.
Dopo circa 800 anni (sottolineo 800 anni) di questa gestione maramalda il bosco aveva raggiunto, nel momento in cui fu espropriato dal governo francese, la sua massima estensione storica e il massimo del suo splendore.
I monaci tennero dunque fede al loro patto, migliorando il fondo loro concesso, però lo fecero con uno sfruttamento sostenibile del bosco e non con una strategia esclusivamente protezionistica, come il patto stesso prevedeva.
Questo non significa che oggi la stessa strategia arriverebbe a dare gli stessi risultati, ma significa però che è possibile sfruttare una risorsa in modo che la stessa abbia tempo e modo di rigenerarsi o addirittura di crescere e svilupparsi.
Ciao, Andrea |
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spin
Utente Senior
Città: statte
Prov.: Taranto
Regione: Puglia
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