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 Due parole sui lecci nella pineta di San Vitale...
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pan_48020
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Inserito il - 18 dicembre 2008 : 20:23:43 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Classe: Dicotyledones Ordine: Fagales Famiglia: Fagaceae Genere: Quercus Specie:Quercus ilex
Premessa

Il Leccio (Quecus ilex) è una quercia tipica della macchia mediterranea, secondo il Pignatti (1982) è assente dalla pianura Padana, tuttavia esistono realtà come ad esempio il Bosco della Mesola (FE) in cui il Leccio è ampiamente diffuso. A Partire da circa un secolo fa un'ampia fascia litoranea tra Ravenna e Ferrara è stata piantumata a pineta e/o lecceta; oggi la specie è abbastanza diffusa. Spesso la si rinviene anche nei parchi, giardini o viali, e capita sovente di vedere giovani piantine sia nelle pinete litoranee, sia nelle pinete storiche "dell'entroterra".
Per le pinete storiche ravennati(non litoranee), Zangheri 1936 riferisce dati della presenza del leccio alla pineta di Classe e pineta di Cervia; esclude tuttavia la presenza della specie nella pineta di San Vitale. Bassi (2003) scrive per la pineta di San Vitale: "presente allo stato arbustivo, in piccole comunità d'impianto artificiale, all'interno delle quali non manca tuttavia una modesta propagazione naturale."


Disseminazione del Leccio

Per quel che riguarda la disseminazione e diffusione delle ghiande ho qualche dubbio: è noto che la Ghiandaia (Garrulus glandarius) contribuisce in maniera determinante alla disseminazione delle quercie, infatti, se ricordo quanto ho letto anni fa (non so dove), essa prende le ghiande e le seppelisce per fare scorta per l'inverno. Questi uccelli sono ampiamente presenti nelle pinete di Ravenna. Zangheri considera tutte le varie specie di Quercus delle pinete (Q.cerris, Q.robur, Q.pubescens, Q.ilex) e indica una dispersione zoocora per tutte tranne che per Q.ilex. Onestamente nutro qualche dubbio a riguardo, gli uccelli non sono botanici e le ghiande dei lecci non sono poi così diverse dalle altre....


Pineta San Vitale

Tornando alla pineta di San Vitale ho notato la presenza di leccio a volte anche in maniera diffusa. Nella zona denominata "Bedalassona" vi è un'area in cui sono presenti diversi individui certamente d'impianto artificale (spesso allineati) e nel terreno circostante molte giovani piante. Invece in un'area della zona denominata "Bedalassina" vi è uno splendido bosco dominato da Pinus pinea e Quercus ilex con individui molto sviluppati di leccio con una disposizione del tutto casuale e dimensioni assortite.
Ho cercato notizie dalle guardie provinciali incontrate sul luogo e mi hanno assicurato che a San Vitale i lecci sono stati impiantati solamente alla Bedalassona e certamente mai alla Bedalassina dove quindi sembrerebbe che il Leccio sia spontaneo da diverse decine di anni (visto lo sviluppo degli alberi).
La Bedalassona era una porzione secolare della Pineta di San Vitale abbattuta durante la prima guerra mondiale e reimpiantata completamente ex novo nel dopoguerra.
La Bedalassina è una porzione della Pineta di San Vitale che esiste come tale da centinaia di anni; nel 1934 Zangheri e Blau-Blanquet (padre della fitosociologia) vi hanno fatto diversi rilievi, ma il leccio non compare mai.


Idea e rilievi

Volendo definire lo status del Leccio a San Vitale non solo "a occhio", ma con l'ausilio di dati oggettivi ho pensato di fare qualche rilievo e mettere a confronto le due aree sopra accennate.
Per ogni pianta di leccio ho misurato altezza, considero questo dato tendenzialmente proporzionale all'età.
Misurare l'altezza è agevole quando si tratta di piccole piantine, mentre per alberi alti anche una decina di metri non è facile. Quando possibile ho usato un metodo semplice, piantando a lato dell'albero un bastone di altezza determinata e facendo le debite proporzioni sulla base di singole foto digitali relative ad ogni albero (foto1). Altre volte è stato sufficiente confrontare l'altezza con alberi vicini gia noti (l'approssimazione è del tutto ininfluente per questo tipo di studio).



Rilievo 1 "Bedalassona".
Ho considerato un'area di 25 x 30 metri, pari quindi a 750 mq, in cui la parte arborea è data da Pinus pinaster e qualche raro Quecus ilex, disposti più o meno in filari e quindi chiaramente un impianto artificiale. Il sottobosco è relativamente libero e in esso vi crescono molte giovani piantine di leccio in maniera diffusa ed omogenea.

Totale lecci censiti 83.
L'altezza dei lecci è stata raggruppata secondo classi di mezzo metro con il seguente risultato riportato nel grafico:

Grafico 1 "Bedalassona":
Due parole sui lecci nella pineta di San Vitale...
56,7 KB


Rilievo 2 "Bedalassina".
Ho considerato un'area di 24 x 33 metri, pari quindi a 792 mq, in cui la parte arborea è data da Pinus pinea e Quercus ilex. Il sottobosco è impegnato quasi completamente da Ruscus aculeatus (pungitopo) e le piantine di leccio crescono nelle poche aree libere, a lato del sentiero o a ridosso dei pini

Totale lecci censiti 43
L'altezza dei lecci è stata raggruppata secondo classi di mezzo metro con il seguente risultatoriportato nel grafico:

Grafico 2 "Bedalassina":
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Foto 1 Leccio alla Bedalassona con palo x misurare l'altezza:
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Foto 2 Bosco della Bedalassina con lecci molto sviluppati:
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Discussione
Ho avuto l'idea ed ho fatto i rilievi, a questo punto lascio a voi l'analisi dei dati; vediamo cosa vi viene in mente.....
ciao




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Hemerobius
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Flora e Fauna

Inserito il - 18 dicembre 2008 : 21:04:23 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Caro Sergio,
prima di tutto complimenti per l'indagine!
Sulle differenze stazionali non ho né la competenza né i dati per esprimere opinioni. Mentre sulla diffusione del leccio a San Vitale negli ultimi 70 anni credo di avere le idee ben chiare.
Come già scriveva Zangheri (Pietro, non Sergio) il "mediterranismo" risaliva dalle Marche verso la Romagna lungo la costa e lungo il piede delle colline fino a raggiungere da una parte la Vena del Gesso sino quasi a Bologna e dall'altra la foce del Po (col Bosco della Mesola) ed oltre (Bosco Nordio).
Naturalmente lungo la costa più si risaliva a nord e più l'influsso mediterraneo scemava, ma all'altezza delle pinete di San Vitale sembrava sparire quasi del tutto (tant'è che Ginanni a fine '700 citava ancora il faggio).
Il cambiamento epocale che è avvenuto nel territorio (molto più che il recente riscaldamento globale) è uno solo: le bonifiche. Tutta la serie di bonifiche (la più importante delle quali è quella del Mezzano) hanno provocato una steppizzazione ed un inaridimento del territorio ed hanno eliminato quei caratteri di "atlanticità" nel microclima locale lasciando risalire il leccio. Il microclima locale fresco è per altro proprio di un'ampia fascia nordadriatica che va approssimativamente dal Po a Grado che ha caratteristiche "atlantiche" ben definite e note e viene chiamata "lacuna nordadriatica" ("lacuna" del clima mediterraneo).

Roberto

verum stabile cetera fumus
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pan_48020
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Inserito il - 26 dicembre 2008 : 20:19:13 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Bene, grazie per la risposta.
Veramente azzeccata! Mi aspettavo certamente qualche riferimento ai cambiamenti climatici, ma pensavo che si chiamasse in gioco solamente il riscaldamento globale. Invece hai pienamente centrato! Le Bonifiche!.
La pineta di San Vitale (scusa il gioco di parole) è subito a valle delle ultime valli!!!
A stretto contatto con la pineta (separata solo dalla statale Romea) ci sono sempre state delle grandi paludi. Il territorio nei secoli è mutato radicalmente; l'opera dell'uomo ha incanalato e costretto molti dei corsi d'acqua; anche il Reno è stato incanalato nell'antico braccio del Po di Primaro, ma la zona delle casse di colmata del fiume Lamone ha resistito molto a lungo.
Le vicissitudini del Lamone sono molte, qui scrivo solo che nel 1839 dopo una rovinosa alluvione (che ha devastato anche il paese ove abito) le valli aumentarono addirittura la loro estensione. Proprio a partire da quell'episiodio si cominciò la bonifica con il metodo delle casse di colmata. Questo metodo è molto lento e alcune situazioni particolari (es.coltivazione del Riso) fecero in modo che alla fine del 1800 l'estensione delle valli fosse ancora notevole. Solo nei primi decenni del 1900 le bonifiche ripresero con efficacia, inoltre venne costruito ex-novo il canale Destra Reno che drenava le acque e le scaricava in mare. Si tratta del più grande canale di bonifica a scolo naturale presente in Italia, segna il confine Nord della pineta di San Vitale e venne terminato più o meno nel periodo in cui Zangheri faceva i suoi studi.
Zangheri pubblica nel 1936 e non ha trovato traccia di leccio a San Vitale, manca nella lista delle specie, manca nei rilievi, manca nella carta vegetazionale.
Le ultime bonifiche terminarono all'incirca negli '60 quando il Lamone prese il suo assetto definitivo e si decise di preservare una piccola porzione di territorio a zona umida (Le splendide Punte Alberete e Valle Mandriole!).

Quindi sono completamente d'accordo con quando dici che il cambiamento climatico è stato indotto dalle bonifiche, i tempi corrispondono molto bene!

Tuttavia non basta il clima, serve anche un ambiente adatto!
Mi spiego analizzando velocemente i 2 grafici.

Nel Grafico 1 "Bedalassona" si nota chiaramente che:
Grafico 1 "Bedalassona":
Due parole sui lecci nella pineta di San Vitale...
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- Le piantine di piccola taglia sono molto frequenti, su un totale di 83 ben 46 hanno altezza inferiore al mezzo metro
- Gli alberi ben sviluppati (8-10 metri) hanno una dicreta frequenza, e sono chiaramente i lecci di impianto artificiale così come avevo precedentemente scritto
- Mancano quasi del tutto alberi di altezza intermedia
Tutto questo lo interpreto così: la presenza di Lecci piantumati dall'uomo fornisce molte ghiande che germinano e crescono sul terreno, tuttavia ben poche riescono a sopravvivere oltre i primi anni di vita. In questo caso si rientra nella descrizione di Bassi "...piccole comunità artificiali, all'interno delle quali non manca tuttavia una modesta propagazione artificiale"

Nel Gradico2 "Bedalassina" si nota:
Grafico 2 "Bedalassina":
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- Le piantine di piccola taglia sono meno frequenti rispetto al precedente (9 sotto al mezzo metro su un totale di 43)
- Gli alberi ben sviluppati (ben oltre gli 8 metri) sono frequenti ed hanno una varietà e disposizione tale che indicano chiaramente un'origine naturale
- A ulteriore riprova di una crescita naturale del leccio sono frequenti anche gli alberi altezza intermedia.
Insomma un bosco con crescita naturale di lecci.


Nella Bedalassona (Graf1) il terreno è più libero, manca Ruscus aculeatus e gli stessi pini hanno una disposizione molto aperta, quindi è normale che le ghiande riescano a germinare in quantità; tuttavia ben poche continuano a crescere! Io credo che questo dipenda in buona parte dal fatto che il bosco abbia un'origine relativamente recente. E' questo il caso di parlare di un tipo di biodiversità ben poco trattato, la biodiversità ambientale che non dipende unicamente dal numero di specie presenti, ma dalla complessità ecologica dell'ambiente, dalle relazioni che si instaurano tra gli organismi, dalla strutturazione e dall'età del suolo, dalla strutturazione ed età degli alberi....
La Bedalassona era una splendida pineta secolare, tagliata a raso per il legname durante la prima guerra mondiale. Ai tempi di Zangheri vi era solamente un terreno brullo, come testimoniato da sue foto e solamente nel recente dopoguerra si è proceduto alla ripiantumazione ex-novo della pineta (con l'impianto anche di qualche leccio). Il bosco si sta sviluppando discretamente ed accoglie già numerose specie giunte naturalmente (alcune di notevole pregio) tuttavia non è ancora in grado di supportare in modo consistente lo sviluppo naturale dei lecci, forse per il suolo non ancora ben strutturato.

Nella Bedalassina (Graf2) invece vi è una pineta secolare con una notevole biodiversità ambientale, solo 80 anni fa non era presente neanche un leccio, tuttavia i cambiamenti climatici dovuti principalmente alle bonifiche hanno indotto modificazioni tali da permette la crescita di lecci. Le ghiande, suppongo siano giunte dalla nuove pinete litoranee impiantate circa 100 fa e distanti pochi chilometri. I lecci hanno ormai altezze che sfiorano i 20 metri, qualcuno ha idea di quanti anni impieghi questa quercia per raggiungere un tale sviluppo?
Comunque sino ad oggi solo una ristretta area della secolare pineta è stata "invasa" dai lecci, evidentemente le condizioni ambientiali non sono ovunque favorevoli

Caio e buone feste







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theco
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Inserito il - 26 dicembre 2008 : 22:18:00 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Qualche impianto artificiale di Leccio è presente anche nella San Vitale storica, quindi si giustifica pienamente la possibilità di una sua espansione, che non può che essere legata a condizioni ecologiche.

Fino a prova contraria credo che dobbiamo riconoscere attendibilità a Zangheri e che quindi, 70 anni fa, il leccio fosse assente o difficilmente percepibile in S.Vitale, di certo nulla a che vedere con la distribuzione che ci ha descritto Pan per la Bedalassina. Ricordo che il Leccio era viceversa ben documentato per le più termofile pinete di Classe e Cervia che, nonostante si trovino a pochi km dalla S.Vitale avevano, ed hanno tuttora, una vocazione mediterranea assai più sviluppata.
Apparentemente il limite della vegetazione mediterranea sul versante adriatico, convenzionalmente posto in corrispondenza degli ultimi ulivi sulle colline riminesi, era in realtà da porre un po' più a nord, all'incirca all'altezza dell'abitato di Ravenna, che idealmente separa le pinete termofile meridionali dalla S.Vitale.

Come ha ricordato Roberto, in S.Vitale c'è documentazione storica relativa al faggio, 200 anni più tardi anche Zangheri trova ancora diverse specie ascrivibili a climi più freddi rispetto all'attuale e a dire il vero qualche relitto di quella paleovegetazione 'fredda' esiste ancora oggi.
San Vitale quindi non proviene da un passato 'mediterraneo', e la presenza del leccio non è inquadrabile in termini di ripresa di una condizione perduta, ma in termini di sviluppo recente del bosco verso una facies più termofila.

Due possibili imputati sono già stati individuati: il riscaldamento globale e la bonifica delle aree umide (che però era già terminata ai tempi di Zangheri, mentre l'espansione del leccio sembra essere più recente).

Aggiungo altri tre fattori che hanno modificato, dopo gli studi di Zangheri, il quadro di riferimento ambientale:
1. la profondità media della falda freatica si è fortemente ridotta in conseguenza dell'estrazione di fluidi dal sottosuolo e quindi San Vitale sta evolvendo verso una vegetazione igrofila (condizione non favorevole al leccio);
2. la salinità del primo acquifero freatico è fortemente aumentata per le cause di cui sopra e quindi larghe fasce della S.Vitale stanno evolvendo verso una vegetazione alofila (anche questa è una condizione non favorevole al leccio);
3. lo sviluppo, a ridosso della S.Vitale, del polo chimico industriale di Ravenna ha modificato la qualità e la quantità di polveri e microelementi dell'aria (condizione non favorevole al leccio e a nessun altro albero spontaneo).

In definitiva non so spiegarmi perchè il leccio si stia espandendo in S.Vitale, ma sono d'accordo con Pan che, per qualche ragione che mi sfugge, lo sta facendo...

Ciao, Andrea
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Hemerobius
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Flora e Fauna

Inserito il - 27 dicembre 2008 : 09:36:53 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Questa discussione sulla biogeografia del Delta del Po mi prende molto (è un argomento che ho studiato a lungo, anche se dilettantisticamente). E nonostante la moglie in agguato (le feste dovrebbero giustamente essere dedicate a lei) provo a contribuire di nuovo.

Il discorso sarebbe molto lungo e credo valga la pena di affrontarlo a poco a poco con la semplice apertura di qualche problema.

Pietro Zangheri era persona affidabilissima, tutte le sue registrazioni possono essere accolte come certe, ma la sua opera ha due problemi sostanziali: una scrittura convoluta (sto cercando di essere gentile perché in fondo gli voglio bene, anche se mi ha fatto sudare le proverbiali sette camicie per riuscire a leggerlo) e spesso imprecisa; una visione troppo incentrata/limitata al territorio romagnolo.

Così il problema delle Pinete del litorale ravennate non può essere affrontato senza un'analisi del territorio tra Reno e Po che, purtroppo o per fortuna, non è Romagna, ma altro. Le boniche delle valli dolci (più interne) cominciò ad opera degli Estensi subito dopo la disastrosa rotta di Ficarolo del milleduecento e qualcosa ( non ricordo la data precisa) che spostò il corso principale del Po dal Primaro a quello attuale (pressapoco).
Non credo vi siano dubbi che il Delta del Po (e l'alto Adriatico in generale) rappresentasse una "bolla" di clima atlantico di rifugio per flora e faune di aree "fresche". Gli esempi tra gli animali potrebbero essere moltissimi. Quello più famoso perché ben documentato è quello del marasso (Vipera berus), presente sino alla metà del 1800. In un testo antico ho trovato che c'erano addirittura dei terreni che venivano chiamati "marassi" (non ho mai scoperto quali).
La "steppizzazione agricola" è quindi un processo di lunghissima data che si accellerò a partire dal 1700.
Tenendo conto dei tempi di risposta degli ecosistemi tutto torna.
P. Zangheri scriveva nel 1976: "... lo studio della vegetazione delle Pinete, quando ancora si presentavano in condizioni ottimali, quali le vide il Ginanni, alla metà del '700, poi altri botanici del secolo scorso e, sebbene in uno stato già un po' peggiorato, io stesso una quarantina d'anni fa ...".
Quindi il processo di degrado (qualunque cosa intendesse per degrado) è di antica data ma le pinete erano ancora in buone condizioni intorno al 1935-40, periodo durante il quale vennero bonificate gran parte delle Valli a nord di Comacchio.

Sul "successo" stazionale del leccio non ho competenze (come ho già detto) ma i tre fattori di disturbo citati da Andrea come negativi per il leccio non mi convincono.
Il leccio è sempre prosperato poco più a nord sui cordoni dunosi tra Magnavacca e la Bocca del Bianco (attualmente Portogaribaldi e confine tra Lido di Volano e Lido delle Nazioni) dove vegetava il Bosco Eliceo, nel Bosco della Mesola (che ricordo confina su un lato col mare, sia pure la tranquilla Sacca di Goro, e dall'altro con Valle Falce, ora bonificata, ma assolutamente salata) ed anche su dossi vallivi come il Dosso del Diavolo in Valle Bertuzzi finchè, agli inizi degli anni '90, una colonia di cormorani li fece morire per eccesso di "concimazioni azotate". Non è quindi così sensibile alla salinità, comunque non lo è in COMPARAZIONE con altre essenze vegetali. Anche il livello di falda è un fattore che ha azione variabile in un territorio che dovrebbe essere caratterizzato da "dossi" e "basse". Nel Bosco della Mesola il leccio si trova solo sui dossi, nella basse c'è la farnia.

Insomma c'è di che divertirsi a discutere.


Ciao Roberto

verum stabile cetera fumus
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pan_48020
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Inserito il - 29 dicembre 2008 : 19:55:23 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Bene bene, allora si discute un po'....

Messaggio originario di theco:
[Due possibili imputati sono già stati individuati: il riscaldamento globale e la bonifica delle aree umide (che però era già terminata ai tempi di Zangheri, mentre l'espansione del leccio sembra essere più recente).


Su questo non sono poi così daccordo... Le bonifiche negli anni 30 erano a buon punto, ma non ancora terminate. Mi sembra di ricordare che la sistemazione definitiva della foce del Lamone avviene negli anni 60, e che l'utilizzo di idrovore per il pompaggio sistematico delle acque sia postumo a Zangheri.
In ogni caso (x me) ci sono 3 possibili spiegazioni :

1-Le bonifiche avvengono sempre con cambiamenti graduali che si protraggono nel tempo, quindi terminati i lavori il terreno avrà impiegato diversi anni prima di raggiungere una condizione stabile.

2-I mutamenti climatici indotti dai mutamenti ambientali non crevo che avvengano repentinamente; anche in questo caso ci sarà un periodo di assestamento

3-I lecci sono quercie che crescono molto lentamente... e se quelli più sviluppati avessero già 70 anni? E poi una volta create le condizioni non è automatica la crescita delle piante... Serve l'occasione, insomma le ghiande devono giungere nel luogo; e poi le prime devono svilupparsi e creare altre ghiande... Insomma lo sviluppo di una popolazione può avvenire molto lentamente.

Quindi, secondo me, i tempi delle bonifiche spiegano molto bene i tempi dell'espansione dei lecci.

Messaggio originario di Hemerobius :
... ed anche su dossi vallivi come il Dosso del Diavolo in Valle Bertuzzi finchè, agli inizi degli anni '90, una colonia di cormorani li fece morire per eccesso di "concimazioni azotate"...


Ho assistito...In quel periodo mi occupavo di ornitologia, e quando potevo passavo x la strada di valle Bertuzzi a dare un'occhiata col binocolo.

Messaggio originario di Hemerobius :
P. Zangheri scriveva nel 1976: "... lo studio della vegetazione delle Pinete, quando ancora si presentavano in condizioni ottimali, quali le vide il Ginanni, alla metà del '700, poi altri botanici del secolo scorso e, sebbene in uno stato già un po' peggiorato, io stesso una quarantina d'anni fa ...".
Quindi il processo di degrado (qualunque cosa intendesse per degrado) è di antica data ma le pinete erano ancora in buone condizioni intorno al 1935-40, periodo durante il quale vennero bonificate gran parte delle Valli a nord di Comacchio.


Visto che siamo in tema di citazioni storiche, dirò qualcosa anch'io. Rava (ravennate ministro dell'agricoltura ai primi del '900) più di un secolo fa dava già per spacciate le pinete storiche del ravennate per tutta una serie di situazioni ecologiche e sociali. Ebbe quindi la bella idea di requisire i nuovi terreni creati dal mare sul litorale e farci impiantare dalla forestale nuove pinete che dovevano sostituire quelle storiche. Ma le pinete storiche resistono! Ho letto cose molte possimistiche sul futuro di San Vitale, ma personalmente sono un po' più ottimista. Queste pinete hanno saputo adattarsi a molti cambiamenti, e credo che continueranno così ancora per molto tempo. Probabilmente andranno incontro a mutamenti radicali, ma resisteranno. Piuttosto considerando la diminuzione dell'apporto di detriti dei nostri fiumi (meno acque meteoriche e impatto di alcune opere come la diga di Ridracoli) unita alla subsidenza del suolo e all'aumento del livello del mare, credo che siano le pinete litoranee di Rava ad avere i maggiori problemi in futuro.


In riferimento ai 3 fattori negativi citati da Theco, direi che sono certamente validi, e che in futuro costituiranno un fattore limitante per il leccio, ma attualmente le potenzialità della specie non sono ancora pienamente espresse, e quindi penso ad un notevole aumento dei lecci in futuro.


Nella zona della Bedalassina ho notato che i lecci faticano a crescere sul terreno coperto da Ruscus aculeatus (molto fitto). Le nuove piantine tendono a concentrarsi sui bordi dei sentieri e molto vicino ai tronchi di Pinus pinea, dove il Ruscus "allenta la morsa". Stranamente ho notatato che spesso in prossimità di queste quercie c'è una "grossa buca" o comunque una depressione, larga qualche metro e profonda poche decine di centrimetri. Un giorno ho capito! o almeno credo, ecco la mia teoria:

-I piccoli lecci crescono a lato dei sentieri e a fianco ai Pini
-I sentieri vengono falciati regolarmente, lecci compresi
-I lecci che rimangono in ombra sono destinati a morire o comunque a rimanere ipotrofici.
-In qualche caso i pini più vecchi o malati cadono lasciando spazio libero ai lecci (La buca è causata dalle radici alla base del tronco caduto, come ho potuto personalmente osservare).
-I lecci liberi crescono rigogliosi e lentamente tendono a sostituirsi ai pini


Se questo ipotetico meccanismo fosse vero, allora i lecci tenderebbero a sostituire i pini sopratutto nelle zone in cui questi stanno andando in crisi.
Questo potrebbe essere un fattore interessante da studiare...


ciao









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Albisn
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Flora e Fauna

Inserito il - 09 settembre 2009 : 15:02:22 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Oso inserirmi in una discussione di alto livello (a proposito complimentii!) pur con la mia scarsa competenza.

Da quando è nata osservo crescere lentissimamente una piantina nella pineta litoranea di Marina di Ravenna. Avrà una decina di anni almeno e non arriva ancora ad altezza d'uomo, ma anno dopo anno aumenta il numero dei rami e delle foglie. Può essere che la gemma apicale si sia rotta inizialmente e che questo fatto abbia rallentato un poco la crescita. La foglia è ovale, coriacea, verde scuro, lucida e leggermente seghettata. Cresce in ombra, sotto pini con chiome non fitte ma che chiudono il cielo e altri arbusti che in parte la sovrastano.

Avevo pensato a una quercia da sughero o di altre specie insolite che non hanno le foglie lobate. Questa estate ho avuto la conferma che si tratta di un leccio da un ex forestale che mi ha spiegato che questa specie ha ben tre tipi diversi di foglie: piccole per gli esemplari sviluppati, spinose per quelle che crescono in basso ma al sole, grandi e poco seghettate (è il mio caso) per quelle che crescono in ombra.

A questo punto ho imparato a identificare bene i lecci di pochi anni. Ce ne sono moltissimi, alti 30 - 50 cm e nascono di sicuro spontaneamente. Come arriva la ghianda? leggo che è presente la ghiandaia sia d'inverno che in primavera. Altri uccelli? Boh. E' facile cconfondere gli esemplari giovani, almeno per i profani, con l'alloro, che nella zona cresce come l'erba.

Aggiungo che nei pressi (a meno di 100m) cresce un leccio già ben sviluppato da quando frequento la pineta (oltre 30 anni). Mi pare che sia su una leggera duna. Lo ricordo bene perchè è il primo leccio che ho imparato a riconoscere. Ha le foglie piccole, fitte e scure e direi, a memoria, che è alto almeno una decina di metri.

Dopo aver letto questa discussione farò (prossime vacanze estive?) molta più attenzione ai lecci della pineta, che comunque sono diffusi, e vi saprò dire.

Saluti
Alberto

Modificato da - Albisn in data 09 settembre 2009 15:30:17
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Albisn
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Flora e Fauna

Inserito il - 13 settembre 2009 : 23:38:04 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Qualche precisazione sul post precedente:
per chi non conoscesse la zona la pineta litoranea di Marina di Ravenna è abbastanza vicina a quella di San Vitale ma ha solo un secolo o poco più di vita mentre quella di San Vitale ha origine storica. Detto questa l'ambiente mi sembra molto simile.
Il leccio di una decina di anni è alto un paio di metri (ho controllato).
Nei dintorni (raggio di 100 m) sono diversi i lecci alti una decina di metri, alcuni anche 12m. Non saprei dire se piantati.
In una siepe di alloro di 20 m di lunghezza ho contato 19 piantine di leccio cresciute spontaneamente. Questo per dire che il leccio si doffonde molto facilmente.

Altre specie che si riproducono diffusamente sono l'olmo minore e l'orniello.

Saluti
Alberto
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