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Scolopendra cingolata

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Scolopendra Scolopendra cingulata

 
 
Scolopendra cingolata foto di Aldo Marinelli

Scolopendra in mano

Particolare delle antene di scolopendra

Scolopendra rovesciata

 

La scolopendra cingolata

La Scolopendra cingolata appartiene alla classe dei Chilopoda, artropodi predatori caratterizzati da un gran numero di zampe: da 30 a circa 200. Tutti hanno il corpo diviso in segmenti ed ogni segmento porta un paio di zampe: destra e sinistra; questa caratteristica li distingue dai Dyplopoda, millepiedi timidi e vegetariani che hanno invece due zampette destre e due sinistre per ogni segmento.
La Scolopendra cingolata, che ha 21 paia di zampe e supera la lunghezza di 10 cm, è il più grosso di questi artropodi; in Italia è presente anche la Scolopendra oraniensis, simile ma più piccola, che arriva a 7 cm di lunghezza, mentre in America centrale esistono Scolopendre lunghe fino a 30 cm.
La testa della Scolopendra è relativamente piccola e piatta: l’organo di senso principale è costituito dalle mobilissime antenne rivestite di un gran numero di peli sensibili che danno loro un aspetto vellutato. Gli occhi sono semplici e in numero di 4 per lato; più simili, quindi a quelli dei ragni che a quelli degli insetti.
Una caratteristica comune ai Chilopoda sono i maxillopodi o forcipule: le zampe del primo paio che si sono evolute in armi di attacco e di difesa. Queste “ex zampe” sono molto forti, ricurve e munite di punte acuminate attraversate da un canalicolo collegato alle ghiandole del veleno; con esse la Scolopendra morde (in senso lato) stringendole a tenaglia. Questi organi non sono collegati all’apparato digerente e non servono per succhiare, come invece i cheliceri dei ragni; le Scolopendre mangiano rosicchiando la preda con delle piccole mandibole poste sulla faccia inferiore della testa, che ricordano vagamente quelle dei granchi. Il pasto è piuttosto laborioso e la consumazione di una grossa preda può richiedere anche delle ore.
Tutte le zampe della scolopendra sono prensili e munite di un artiglio acuminato all’estremità; le zampe del 20° e del 21° paio sono più lunghe e forti delle altre e sono rivestite di un tegumento molto duro, a prova di puntura. La scolopendra le usa come organi prensili per afferrare avversari pericolosi prima di morderli con i maxillopodi o semplicemente per dare una stretta di avvertimento a scopo intimidatorio agli animali che intende semplicemente mettere in fuga.
La Scolopendra cingolata vive soprattutto nel terreno, anche se gli esemplari giovani si possono trovare occasionalmente sotto le cortecce degli alberi secchi e in altri nascondigli rilevati.
Durante il giorno rimane nascosta in una fessura del terreno o sotto una pietra; è anche in grado di scavare abbastanza bene nel terreno morbido. Di notte, esce a caccia e perlustra con cura ogni cavità o altro ambiente interessante in cerca di insetti, ragni ed altri artropodi.
Le Scolopendre non si spaventano facilmente e di solito, se scoperte, si dileguano con dignità senza mostrare un atteggiamento aggressivo; mordono solo se vengono afferrate con le dita o se si trovano casualmente strette tra la pelle e i vestiti.
La Scolopendra deve comunque essere trattata con rispetto perché è uno degli artropodi più velenosi d’Italia, dopo i ragni Latrodectus (Malmignatta) e Loxosceles (Ragno violino) e insieme a pochi altri. Il veleno, ad azione prevalentemente neurotossica, è molto efficace nei confronti delle prede di cui provoca la morte in pochi secondi e può uccidere anche piccoli vertebrati che tentano di predarla.
Nell’uomo il morso provoca un forte dolore che persiste, in una certa misura, per ore e anche per giorni; non risultano casi di conseguenze a lungo termine.
La femmina depone in una camera sotterranea una trentina di uova che accudisce fino alla schiusa. E’ un animale piuttosto longevo che può vivere diversi anni.
La Scolopendra è ancora presente in buon numero negli ambienti adatti; sembra discretamente adattata anche agli ambienti antropizzati e si può trovare anche nelle immediate vicinanze delle abitazioni

Testo e foto di Luigi Lenzini

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