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 La Malaria di G. B. Grassi nel 1890
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Volvox
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Inserito il - 09 novembre 2008 : 00:20:53 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

dal "Bullettino mensile della Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania", 1890


ALTRE RICERCHE SULLA MALARIA — Nota preliminare del Prof. B. Grassi.

I.


La tesi messa innanzi da me e dal collega Prof. Feletti (che, cioè, i parassiti malarici formano due generi, ciascuno con parecchie specie) non viene accolta favorevolmente dal Kruse (1), dal Marchiafava, dal Celli, etc. Noi riserbiamo ad altra Nota di discutere le obbiezioni che ci oppongono i suddetti autori e che, secondo noi, si possono molto agevolmente ribattere. Qui convinto che la nostra tesi viene assodata, anziché infirmata, dai loro stessi argomenti, voglio tornar sulla quistione dei parassiti malarici in vita libera.
In una precedente Nota, assieme al Prof. Feletti, accennavo ad un ameba che potrebbe rappresentare un parassita malarico in vita libera. Ora appunto mi propongo di ulteriormente svolgere questa importantissima parte della quistione malarica.
Circostanze, che qui è inutile accennare, mi obbligarono a continuare questi studi in Lombardia e precisamente a Locate Triulzi. Rendo pubbliche grazie ai signori Locatesi, e segnalatamente al Sig. D.r Romanini, al Sig. D.r Beneggi ed ai Signori Grunn e Billitz, che mi coadiuvarono nelle mie ricerche.
Locate Triulzi è uno dei punti più malarici d'Italia.
I miei studi furon fatti in giorni, in cui la malaria era grave: io stesso ebbi due accessi di febbre troncati prontamente col chinino: la moglie e i figli del medico, presso cui lavorava, caddero malati di malaria etc.
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(1) Non voglio tacere che le forme paragonate dal Kruse alle amebe della quartana sono semilune allungatesi tanto da diventar un anello, dentro cui sta il nucleo. Ciò è evidente nelle Strix flammea.

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Già nella Nota or citata si trova il concetto che, se i parassiti malarici sono Rizopodi, debbonsi di leggeri vedere in vita libera, essendo essi in generale assai più voluminosi e caratterizzabili più facilmente della maggior parte dei Batteri, non potendo essi sfuggire neppure al semplice esame microscopico, come pur troppo invece sovente accade di parecchi Battèri.
Che poi i parassiti malarici sian Rizopodi, tutto quanto verificasi nell'uomo e negli animali, lo dice chiaramente, sopra tutto se si tien conto che il gruppo dei Missomiceti, qual viene proposto dallo Zopf, non è naturale, dovendosi da esso radiare i Monadini, e questi suddividere in varie famiglie da riunire ai Rizopodi ed agli Eliozoi. Del resto, ammettendo anche (contrariamente al mio parere, che è diviso anche da altri autori) il gruppo dei Monadini, e quindi ammettendo inoltre che i parassiti della malaria debbano ad essi riferirsi, la supposta facilità di vederli in vita libera sussiste precisamente, come se si ammettesse con me che fossero Rizopodi.
Pur facendo luogo al sospetto che siano Chitridiacei, oppure Sporozoi, (1) sospetti a mio parere non ben fondati, si può sempre francamente ammettere che il riscontrarli in vita libera deve riuscire cosa agevole.
Dunque il semplice esame microscopico a forte ingrandimento deve bastare a farci vedere i parassiti malarici, anzi con poche forme si potranno confondere.
V’ha di più: da tutto l'esplorar, che s'è fatto, i terreni od in generale i materiali malarici, da coloro che si occuparono di Protozoi, possiamo arguire con molta probabilità che i parassiti malarici saranno già stati descritti nelle Memorie pubblicate da questi stessi studiosi.
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(1) È 1'Huemogregarina (Drepanidium) che fa pensare agli Sporozoi. Io finora conosco de visu appena l'Haemogregarina delle Rane, e, per quanto fin qui ho constatato, ve ne esistono due specie, una grande (Kruse) e una piccola (parecchi autori): mi sembra di potere francamente stabilire che nelle Rane esiste anche una Laverania, la quale diventa rotonda e si segmenta: la sua segmentazione è facilissima a riscontrarsi, e fu già veduta dal Kruse. Ma ritornerò sull'argomento in un prossimo lavoro.

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In base a tali premesse ho fatto uno studio comparativo dei materiali malarici.
Il mio punto di partenza è dunque il seguente:
È accertato che i parassiti malarici sono Rizopodi o, per lo meno, forme ad essi molto affini: di conseguenza i parassiti malarici si troveranno fra quei Rizopodi, o tra quelle forme ad essi molto affini, che si riscontrano in tutti quei materiali, i quali per esperienza di molti secoli si sanno indubbiamente fomite di malaria.
Io ho studiato tanto nei dintorni di Catania quanto a Locate Triulzi ed un po' anche a Melegnano (Lombardia) i più diversi materiali malarici, e precisamente :

1. terreni incolti, più o meno argillosi ed umidi;
2. praterie artificiali;
3. pascoli naturali;
4. risaje;
5. terreni coltivati a cereali, ma sempre un po' umidi;
6. canape e lino durante il processo di macerazione;
7. dintorni di bacini d'acqua salmastra.

Ho tenuto conto di tutte le circostanze, che rendono particolarmente pericolosi i materiali or cennati: per esempio, si sa che le risaje sono molto pericolose, quando si toglie loro l'acqua; è notorio che le spazzature dei canaletti, che circondano od attraversano i prati, essendo composte in gran parte di vegetali, che fuor dell'acqua muoiono e putrefano, sono terribile fomite di malaria e rendono molto pericolose le praterie etc. Si sa, per citare un ultimo esempio, che sono pericolosissimi i pantani, quando nei mesi estivi vanno prosciugandosi etc.
Prima di tutto, con queste ricerche comparative si riesce a render molto verosimile che c'è malaria anche senza Alghe(comprendo tra le Alghe le Floridee, le Caracee, le Confervoidee, le Sifoficee, le Protococcoidee, le Conjugate, le Bacillaire e le Schizoficee).
Le Alghe, per esempio, mancano di solito nella canapa e nel lino tolto dalla macerazione e messo ad asciugare: mancano di spesso, o sono rarissime, in terreni molto malarici. Quindi è che si possono giudicar non legati alla malaria molti Protozoi e Chitridiacei parassiti delle Alghe. Parecchi Rizopodi ed Eliozoi sono spe-

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ciali all'uno od all'altro materiale malarico. Comuni a tutti i materiali malarici, e costantemente presenti in tutti, trovo soltanto le specie del genere Amoeba e di generi molto affini (Hyalodiscus, Dactylospaerium), che una volta venivan riuniti al genere Amoeba. così è che, per esclusione, sono arrivato a formulare l'ipotesi che nel genere Amoeba in senso lato debbansi trovare i parassiti malarici.
Quanto alle specie i sospetti cadono particolarmente sopra Amoeba guttula quale viene descritta dal Perty: di essa per ora considero come giovani esemplari, le Amibe indicate nella sopra ricordata Nota preliminare. Sospetto è anche un Bactylosphaerium. Mi sembra che soltanto queste forme, o forme ad esse molto affini, si trovino in quantità e con una costanza sufficiente per spiegarci come dati luoghi siano enormemente malarici.
Mi sorge subito un'obbiezione alla mia ipotesi. Le amibe in discorso trovansi anche in paesi non mai sospettati malarici. Vi si trovano, è vero, ma in punti molto limitati ed in quantità infinitamente minore che nei luoghi malarici, e fors'anche in condizioni non del tutto proprie per lo sviluppo della malaria. Quanto del resto bisogna andar guardinghi nel dar valore alla mia obbiezione, risulta evidente dal seguente fatto.
Ho fatto ricerche a Rovellasca, che giace nel piano lombardo asciutto, e si ritiene paese non malarico. Trovai le amebe in vicinanza ad un prato artificiale, ad un piccolo stagno etc. Ciò scosse la mia fede nell’ipotesi sopradetta, ma soltanto per un istante, perchè constatai che anche Rovellasca è alquanto malarico, se non per l'uomo, per gli uccelli, ed infatti trovai leggermente infettati dei passeri da pochi giorni usciti dal nido, e molto infettati dei giovani Lanius collurio presi in vicinanza del prato artificiale e, secondo ogni verisimiglianza, nati e cresciuti in questo locale.
Le amebe in discorso si incistano facilmente, e così incistate possono sollevarsi nell'aria atmosferica; si riscontrano infatti benché molto raramente (ciò che forse dipende dal modo d'esame) tanto nella rugiada raccolta col metodo del Moscati, quanto nelle cavità nasali di piccioni esposti per una o più notti in luoghi sicuramente malarici.

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Così stando le cose, il ciclo dei parassiti malarici sarebbe questo:
Certe amebe, che conducono vita libera, se arrivano a penetrare nel corpo degli uccelli e dell'uomo, vi si sviluppano assumendo caratteri alquanto differenti da quelli dei loro progenitori in vita libera (dimorfismo, come è noto per es. per 1'Anguillula intestinale).
È verosimile che ad ognuno dei differenti parassiti malarici corrisponda una peculiare specie d'Amiba.
L'Amoeba guttula corrisponde meglio ad un Haemamoeba, l'Amoeba (Dactylosphaerium) radiosa alla Laverania. I flagelli, sviluppati tanto facilmente dalla Laverania, esprimerebbero sempre un fatto patologico, che troverebbe però la sua spiegazione nell’Amoeba radiosa, la quale pure presenta talvolta pseudopodi sottili, moventisi come flagelli etc.
Vivendo le amibe nei globuli sanguigni, si adattano ad un genere di vita eccezionalmente favorevole, e si riducono in condizioni così commode (1), che poi riportate in vita libera non possono continuare a lottare per la vita: da ciò la spiegazione del non poterle coltivare in vita libera, come si fa dei Batteri.
Aggiungasi che nel sangue esse non assumono mai forme, le quali lascino credere alla possibilità di vita, foss'anche latente, fuori dell’oste : con ciò è in rapporto la mancante contagiosità della malaria.

II.


Accenno ad alcuni altri punti della quistione malarica.
Primo punto. Si discute se la malaria si possa propagare per le vie digerenti.
Per sciogliere questo problema, ho fatto bere a persone robuste ed abitanti in paesi non malarici, 30-50 grammi di rugiada raccolta col noto metodo del Moscati. Ciò fu ripetuto parecchie volte, sempre con risultato negativo.
Negativi furono anche i risultati ottenuti inghiottendo sangue d'individuo malarico, o dando a mangiare uccelli infetti di ma-
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(1) In talune forme per es. nell'Emameba degli uccelli pare perfino soppresso il movimento ameboide: vi sono però motivi per credere che questa soppressione non sia totale.

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laria ad uccelli di rapina, presumibilmente capaci d'infettarsi di malaria.
Secondo punto. In svariate specie d'uccelli l'infezione malarica ci si presentò sempre molto limitata, cioè i parassiti malarici nel sangue eran sempre molto scarsi, e specialmente le semilune presentavansi piccole {Emberiza projer, Passer montanus, Passer Italiae etc.)
Terzo punto (osservazioni fatte a Catania insieme col Prof. Feletti).
L' infezione di semilune nell’uomo guarisce, forse senza mai più ricadere, al cominciar della primavera: il fatto sta che qui a Catania non trovammo alcun caso di semilune dall'aprile al settembre.
Nei passeri invece l'infezione semilunare riscontravasi dal febbraio in avanti. Alla fine d'ottobre rari erano i passeri ancora infetti. Dopo la metà di novembre erano guariti quasi tutti.
Di otto piccioni infettatisi in maggio, sette si trovarono guariti ed uno quasi guarito, al principio di novembre. Sono invece ancora pieni zeppi di semilune i piccioni, che si sono infettati appena in agosto od in settembre. Alla metà del presente mese di novembre catturammo due individui giovani di Strix flammea: essi erano e sono molto infestati di semilune.
Queste osservazioni, tutte insieme riunite, tendono a dimostrare che le Laveranie scompaiono spontaneamente dopo circa 6-7 mesi. Quanto alla possibilità di recidive, per ora non ci vogliamo pronunciare.

Catania, 20 Novembre 1890.

Volvox

"Omnia ab ovo.
Le còcce, pe' piacere, ner biologgico!"
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