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Andrea
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Inserito il - 09 luglio 2004 : 19:55:54 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia

Salute a tutti,

volevo proporre un gioco per l’estate…e non solo.
Tutti noi possediamo almeno un testo (divulgativo, monografico, generico) che tratti di funghi.
Fin qui nulla di particolarmente sconvolgente.
Non sarebbe curioso inaugurare una rassegna-stampa o letteraria, citando tutto ciò che ci capita di leggere a proposito di funghi, diverso dalle pubblicazioni micologiche?

Provo a spiegarmi meglio.
Tutti noi, amiamo leggere le più disparate cose: chi Topolino, chi “Selezione del Reader’s Digest”, chi la Bibbia, chi il Corriere dello Sport, chi letteratura varia, chi la “Settimana enigmistica”, chi i periodici etc.
Si potrebbe dunque creare una discussione che raccolga tutto ciò che riguarda il tema “funghi”, con un minimo di indicazioni utili al reperimento della fonte citata (Titolo, Autore, anno di pubblicazione, prezzo…) ed eventuali commenti.

Ignoro se una cosa simile sia già stata fatta in altri forum.
A me questa idea è venuta in mente leggendo un romanzo in cui si parla di tutt’altre cose: ad un certo punto viene citata una pietanza a base di funghi.

Che ne pensate, se pò fà???

Dite la vostra, se volete.

Andrea

Modificato da - Andrea in Data 02 agosto 2007 17:49:44

Andrea
Utente Senior


Città: ROMA
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Inserito il - 10 luglio 2004 : 14:14:29 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

l’idea di questa discussione mi è venuta leggendo il passaggio che segue:

“…Quella sera a Chris non andava bene niente…Aveva ordinato il suo piatto preferito, la pintade aux cèpes, ma la carne della faraona era troppo asciutta, e i funghi poco saporiti…”

Il brano è tratto dal romanzo Timeline di Michael Crichton (quello di Jurassic Park…), edito da Garzanti nel 2000, pag. 121.

Il libro non è male, una buona lettura per rilassarsi in spiaggia sotto l’ombrellone: inoltre, proprio in questi giorni ne dovrebbe essere uscita la versione cinematografica.

La pietanza citata, data l’ambientazione del racconto (Francia), dovrebbe essere tipica della regione meridionale del Périgord.
In Italia, che io sappia, la faraona è tradizionalmente consumata nelle regioni del Centro (Toscana, Umbria); non so però se l’accostamento con i funghi porcini sia contemplato da qualche ricetta tipica di queste zone.

Cèpe, infine, è l’equivalente francese dell’italiano porcino; nella Svizzera francofona, è in uso come sinonimo il termine Bolet:

Cèpe de Bordeaux = Boletus edùlis Bull.: Fr.
Cèpe des pins = Boletus pinophilus
Pilat & Dermek (=B. pinicola)
Cèpe d’été = Boletus aestivalis
(Paulet) Fr. (= B. reticulatus)
Cèpe tête de nègre = Boletus aereus Bull.: Fr.

Un estivo saluto

Andrea
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FOX
Moderatore


Città: BAGNO A RIPOLI

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Inserito il - 10 luglio 2004 : 22:26:02 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Si è vero Andrea! In Toscana facciamo molto uso di faraona.

Colgo l'occasione di suggerirvi una ricetta:

- tagliare a pezzi (in toscano taglioli)una faraona di media grandezza
- mettere in un tegame abbastanza profondo con una cipolla media
tritata e qualche spicchio di aglio..
- lasciare rosolare fino a prendere il colore.
- aggiungere una buna quantità di Cantharellus cibarius, cuocere
lentamente, in caso di necessità aggiungere un pò di brodo.
- può essere accompagnata con riso.
Fatemi sapere il risultato!!

Ciao FX

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Andrea
Utente Senior


Città: ROMA
Prov.: Roma

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Inserito il - 17 luglio 2004 : 15:18:30 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

vi segnalo un altro libro in cui ho trovato curiosi riferimenti ai funghi.

Antica Roma. Il periodo è quello che precede l’investitura imperiale di (Lucio Domizio Enobarbo) Nerone, un’epoca caratterizzata da intrighi politici e dai conseguenti drastici provvedimenti…

“…Agrippina vide in pericolo il suo piano che prevedeva l’ascesa di Nerone, allora diciassettenne.
Fu in questa fase che l’imperatore Claudio (Tiberio Claudio Germanico) morì improvvisamente e misteriosamente nella notte del 13 ottobre del 54 d.C.(…). Fu o no morte naturale?
Si disse che lo avesse avvelenato la stessa Agrippina dandogli da mangiare dei funghi e che comunque la spietata nobildonna non fosse estranea all’evento. Si disse che quel piatto mortale fosse stato preparato da una celebre avvelenatrice di origine gallica, Locusta. (…) Nerone saliva al trono all’età di 17 anni. (…). I romani non capirono perché mai Nerone, fra i suoi primi atti, volle proclamare i funghi cibo degli dèi. A Locusta fu persino consentito di aprire una scuola di avvelenamento.”
La Storia è affascinante di per sé, ma soprattutto quando viene “narrata” in maniera discorsiva.

Questo brano è tratto da

La grande storia di Roma di Antonio Spinosa, Oscar storia Mondadori, 2000, pag. 351 (€ 9,30).

Supponendo l’attendibilità delle vicende narrate, si sarebbe portati a credere ad una intossicazione da amatossine. E’ già più difficile ipotizzare quale specie possa essere responsabile di un decesso così rapido come quello di Claudio: Amanita phalloìdes, Lepiota helveola, Lepiota brunneoincarnata, Galerina marginata o un micidiale cocktail di specie diverse?

Un piatto mortale.
20 gr. di Amanita phalloìdes, A. verna, A. virosa sono sufficienti per causare gravi intossicazioni.
Lepiota helveola, Lepiota brunneoincarnata e Galerina marginata (G. autumnalis) hanno concentrazioni di tossine ancora maggiori.
Le amatossine (complessi di amanitine presenti in tutte queste specie) possiedono una tossicità elevatissima: per l’uomo, si ragiona in termini di 0,1 mg./Kg. di peso.
Poi ci sono le virotossine, le fallotossine…

Amanita caesarea.
Letteralmente Amanita di Cesare, ossia dell’imperatore. Siccome un tempo all’imperatore erano tributati onori e culti degni di un dio…si mangiava anche i funghi migliori!!

Una discussione a parte meriterebbero i funghi come cibo degli dèi o come rimedio nella medicina “alternativa”: qui però dovrebbe dire la sua qualcuno che si diletti di etnomicologia.

Accaldati saluti

Andrea
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FOX
Moderatore


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Inserito il - 17 luglio 2004 : 16:17:02 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ciao Andrea,

molto interessanti questi racconti!!

Vacci piano con le ricette!! !

Bastano 20 gr di Amanita phalloìdes per andare all'altro mondo o per rimanere sacrificati per tutto il resto della vita!

Ciao FX

Modificato da - FOX in data 17 luglio 2004 16:17:42
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Andrea
Utente Senior


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Inserito il - 18 luglio 2004 : 10:54:11 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute Fox,

hai ragione, a proposito del "dosaggio" di funghi molto pericolosi quali Amanita phalloìdes e le sue pericolose sorelle, bisogna essere molto cauti...

Tuttavia il dato che ho riportato proviene da una fonte abbastanza autorevole, la dott.ssa F. Assisi del Centro Antiveleni di Milano.

Premesso che si tratta di una specie mortale, la dose letale di A. phalloìdes, per un adulto in buone condizioni di salute, si aggira intorno ai 40-50 gr. di fungo.

Inoltre, il decorso dell'intossicazione dipende quasi sempre dalla precocità della diagnosi e dalla rapidità con cui si riesce ad intervenire sulla persona intossicata.

20 gr., come giustamente fai notare, possono comunque causare serissimi danni a carico (principalmente) del fegato, tali da comprometterne la funzionalità anche in individui sani.
Se poi si tratta di bambini o di anziani, o di persone con problemi di salute, è sufficiente ingerire quantità minime di funghi velenosi-mortali per provocare danni irreparabili e decesso.

Un abbraccio
Andrea
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FOX
Moderatore


Città: BAGNO A RIPOLI

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Inserito il - 18 luglio 2004 : 11:24:25 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Grazie Andrea,

sei hai più dati in merito, postali!

Ciao FX
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Andrea
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Inserito il - 27 luglio 2004 : 12:41:19 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

questo è un contributo un po’ lungo ma, se avrete la pazienza di arrivare in fondo, troverete senz’altro qualche spunto di riflessione sul "male oscuro" che affligge tutti noi micofili…

«Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Un giorno, sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.
Così un mattino, aspettando il tram che lo portava alla ditta Sbav dov’era uomo di fatica, notò qualcosa di insolito presso la fermata, nella striscia di terra sterile e incrostata che segue l’alberatura del viale: in certi punti, al ceppo degli alberi, sembrava si gonfiassero bernoccoli che qua e là s’aprivano e lasciavano affiorare tondeggianti corpi sotterranei. Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt’a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni familiari e il caropane.
Al lavoro fu distratto più del solito; pensava che mentre lui era lì a scaricare pacchi e casse, nel buio della terra i funghi silenziosi, lenti, conosciuti solo da lui, maturavano la polpa rossa, assimilavano succhi sotterranei, rompevano la crosta delle zolle. «Basterebbe una notte di pioggia, - si disse, - e già sarebbero da cogliere». E non vedeva l’ora di mettere a parte della scoperta sua moglie e i sei figlioli.
- Ecco quel che vi dico! – Annunciò durante il magro desinare. – Entro la settimana mangeremo funghi! Una bella frittura! V’assicuro!
E ai bambini più piccoli, che non sapevano cosa i funghi fossero, spiegò con trasporto la bellezza delle loro molte specie, la delicatezza del loro sapore, e come si doveva cucinarli; e trascinò così nella discussione anche sua moglie Domitilla, che s’era mostrata fino a quel momento piuttosto incredula e distratta.
- E dove sono questi funghi? – domandarono i bambini. – Dicci dove crescono!
A quella domanda l’entusiasmo di Marcovaldo fu frenato da un ragionamento sospettoso: «Ecco che io gli spiego il posto, loro vanno a cercarli con una delle solite bande di monelli, si sparge la voce nel quartiere, e i funghi finiscono nelle casseruole altrui!» Così quella scoperta che subito gli aveva riempito il cuore d’amore universale, ora gli metteva la smania del possesso, lo circondava di timore geloso e diffidente.
- Il posto dei funghi lo so io e io solo, - disse ai figli, - e guai a voi se vi lasciate sfuggire una parola.
Il mattino dopo, Marcovaldo, avvicinandosi alla fermata del tram, era pieno d’apprensione. Si chinò sull’aiola e con sollievo vide i funghi un po’ cresciuti ma non molto ancora nascosti quasi del tutto dalla terra.
Era così chinato, quando s’accorse d’aver qualcuno alle spalle. S’alzò di scatto e cercò di darsi un’aria indifferente. C’era uno spazzino che lo stava guardando, appoggiato alla sua scopa.
Questo spazzino, nella cui giurisdizione si trovavano i funghi, era un giovane occhialuto e spilungone. Si chiamava Amadigi, e a Marcovaldo era antipatico da tempo, forse per via di quegli occhiali che scrutavano l’asfalto delle strade in cerca di ogni traccia naturale da cancellare a colpi di scopa.
Era sabato; e Marcovaldo passò la mezza giornata libera girando con aria distratta nei pressi dell’aiola, tenendo d’occhio di lontano lo spazzino e i funghi, e facendo il conto di quanto tempo ci voleva a farli crescere.
La notte piovve: come i contadini dopo mesi di siccità si svegliano e balzano di gioia al rumore delle prime gocce, così Marcovaldo, unico in tutta la città, si levò a sedere nel letto, chiamò i familiari. «È la pioggia, è la pioggia», e respirò l’odore di polvere bagnata e muffa fresca che veniva di fuori.
All’alba – era domenica -, coi bambini, con un cesto preso in prestito, corse subito all’aiola. I funghi c’erano, ritti sui loro gambi, coi cappucci alti sulla terra ancora zuppa d’acqua. - Evviva! – e si buttarono a raccoglierli.
- Babbo! Guarda quel signore lì quanti ne ha presi! – disse Michelino, e il padre alzando il capo vide, in piedi accanto a loro, Amadigi anche lui con un cesto pieno di funghi sotto il braccio.
- Ah, li raccogliete anche voi? – fece lo spazzino. – Allora sono buoni da mangiare? Io ne ho presi un po’ ma non sapevo se fidarmi... Più in là nel corso ce n’è nati di più grossi ancora... Bene, adesso che lo so, avverto i miei parenti che sono là a discutere se conviene raccoglierli o lasciarli... – e s’allontanò di gran passo.
Marcovaldo restò senza parola; funghi ancora più grossi, di cui non s’era accorto, un raccolto mai sperato, che gli veniva portato via così, di sotto il naso. Restò un momento quasi impietrito dall’ira, dalla rabbia, poi – come talora avviene – il tracollo di quelle passioni individuali si trasformò in uno slancio generoso. A quell’ora, molta gente stava aspettando il tram, con l’ombrello appeso al braccio, perché il tempo restava umido e incerto. – Ehi, voialtri! Volete farvi un fritto di funghi questa sera? – gridò Marcovaldo alla gente assiepata alla fermata. – Sono cresciuti i funghi qui nel corso! Venite con me! Ce n’è per tutti! – e si mise alle calcagna di Amadigi, seguito da un codazzo di persone.
Trovarono ancora funghi per tutti e, in mancanza di cesti, li misero negli ombrelli aperti. Qualcuno disse: - Sarebbe bello fare un pranzo tutti insieme! – Invece ognuno prese i suoi funghi e andò a casa propria.
Ma si rividero presto, anzi la sera stessa , nella medesima corsia dell’ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva tutti salvati dall’avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiati da ciascuno era assai poca.
Marcovaldo e Amadigi avevano i letti vicini e si guardavano in cagnesco.»

Italo CALVINO, "Funghi in Città", tratto da
Marcovaldo, ovvero le stagioni in città, Mondadori, 2002 (euro 14,80)



Il posto dei funghi lo so io e io solo.
Quanti tra noi sono immuni dalla "sindrome del raccoglitore"? I posti segreti, cari ad ognuno e gelosamente custoditi, talvolta fino alla tomba, rappresentano il nostro tesoro più prezioso…
Di conseguenza, mentre siamo ben disposti a condividere le conoscenze e le esperienze, raramente divulghiamo l’ubicazione precisa di qualche metro quadro particolarmente fruttuoso…

Lei che fa, li mangia?
Il "cattivo esempio" è tra i comportamenti più a rischio nel bosco. A quanti tra noi è capitato di incontrare persone interessate al contenuto del nostro cesto, durante una passeggiata? In circostanze simili, occorrerebbe sempre fare un minimo di "didattica" spicciola, a beneficio dei raccoglitori occasionali, spiegando cosa si è raccolto e perché, mettendo nella giusta luce i pregi e le insidie del "bottino".

Frittura.
Macrolepiota sp. su tutti! La mia personale esperienza si ferma lì. Qualcuno ha da suggerire qualche altra specie da dorare e friggere, direttamente dal proprio ricettario culinario?

Un saluto
Andrea
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Andrea
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Inserito il - 29 luglio 2004 : 15:07:13 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

stavolta ho scovato una "perla" letteraria che voglio dedicare ai più incalliti tra i porcinari…


A UN DIVORATORE DI FUNGHI

Dimmi, che follia è cotesta?
Mentre la folla dei tuoi convitati
ti guarda a dente asciutto,
tu, da solo, Ceciliano,
divori i porcini.
Quale augurio rivolgerti, degno
d'una gola e d'un ventre così grandi?
Che tu possa mangiare un boleto,
come quello che Claudio mangiò.

"Dic mihi, quis furor est? Turba spectante uocata
solus boletos, Caeciliane, uoras.
Quid dignum tanto tibi uentre gulaque precabor?
Boletum qualem Claudius edit, edas."


Marco Valerio MARZIALE, Epigrammi - Libro I
Rizzoli, 1996 (euro 20,66)



Boletos
In latino, è il termine con cui si indicavano indistintamente i funghi.
Il traduttore ha utilizzato impropriamente il termine porcini: tuttavia l’errore sembra trascurabile dal momento che, molto probabilmente, il porcino veniva largamente apprezzato e consumato già in epoca romana, godendo di una popolarità che ha resistito fino ai nostri giorni.
Tra l’altro, l’augurio di Marziale all’ingordo Ceciliano non è dei più benevoli: l’imperatore Claudio, si disse - e Marziale lo conferma – fu mortalmente avvelenato con un piatto di funghi (vedere il terzo post di questa discussione).

Alla prossima

Andrea
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Andrea
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Inserito il - 16 agosto 2004 : 12:38:58 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

il contributo che segue è tratto da uno dei capolavori della letteratura italiana, ispirato da una delle pagine più vergognose e tragiche della Storia dell'uomo e vissuta dall'autore in prima persona, che mi permetto di raccomandare come lettura a chi non conoscesse Primo Levi e la sua vicenda umana.

(…) Dopo alcuni giorni di pioggia, e altri di sole e di vento, nel bosco i funghi e i mirtilli crebbero con tale abbondanza da diventare interessanti non più sotto l'aspetto puramente georgico e sportivo, ma sotto quello utilitario. Tutti, prese le opportune precauzioni per non smarrire la via del ritorno, passavamo intere giornate alla raccolta. (…) Quanto ai funghi, se ne trovavano di due varietà: alcuni erano normali porcini, gustosi e sicuramente commestibili; gli altri erano simili a questi come forma e come odore, ma più grossi e legnosi e di colori alquanto diversi. Nessuno di noi era certo che questi fossero mangerecci; d'altra parte, si poteva forse lasciarli marcire nel bosco? Non si poteva: eravamo tutti mal nutriti, e inoltre era ancora troppo recente in noi la memoria della fame di Auschwitz, e si era mutata in un violento stimolo mentale, che ci obbligava a riempirci lo stomaco a oltranza e ci vietava imperiosamente di rinunciare a qualsiasi occasione di mangiare. Cesare ne raccolse una buona quantità, e li fece bollire secondo prescrizioni e cautele a me ignote, aggiungendo all'intingolo vodka e aglio comperati al villaggio, che "ammazzano tutti i veleni". Poi, lui stesso ne mangiò, ma poco, e ne offrì un pochino a molta gente, in modo da limitare il rischio e da disporre di una abbondante casistica per il giorno dopo. Il giorno dopo fece il giro delle camerate, e non era mai stato tanto cerimonioso e sollecito: <<Come sta, sora Elvira? Come va, don Vincenzo? Avete dormito bene? Avete passato una buona nottata?>> e intanto li guardava in faccia con occhio clinico. Stavano tutti benissimo, i funghi strani si potevano mangiare.

Di Primo Levi, tratto da "La tregua", Einaudi, 1992.


Sicuramente, parlare di funghi di fronte alla tragedia dei campi di sterminio di ogni epoca e ideologia, rappresenta un accostamento di dubbio gusto.
Tuttavia, come forse a molti di voi, a me è capitato di sentir raccontare storie di "economia di guerra", secondo le quali le risorse del bosco, i funghi in primo luogo, hanno rappresentato una necessaria integrazione alimentare per le numerose famiglie dell'epoca o per i soldati impegnati nei combattimenti.
Non stupisce, dunque, la tendenza a rendere commestibile ciò che commestibile non è, con procedimenti di cottura tanto complessi e prolungati da far dubitare che alla fine si stiano veramente mangiando dei funghi.
Alcuni di questi laboriosi procedimenti sopravvivono ancora oggi in diverse consuetudini alimentari locali: ad esempio, in diverse zone del Lazio, si consuma Lactarius piperatus (c.d. "peparone") essenzialmente dopo prolungata bollitura con aceto e sale.

Funghi e mirtilli
La domanda è: esiste un qualche tipo di simbiosi micorrizica tra la pianta arbustiva di mirtillo (Vaccinium myrtillus L.) e qualche specie fungina?

A presto
Andrea
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Andrea
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Inserito il - 13 ottobre 2004 : 20:15:15 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Salute a tutti,

il contributo letterario che segue l'ho trovato su internet, all'indirizzo specificato in calce.
Mi pare un originale omaggio alla nutrita schiera di amici siciliani che hanno raggiunto questo spazio...

Vi ricordo che è solo un gioco, pertanto mi auguro che nessuno possa trovarvi alcunché di offensivo.

C’E’ SEMPRE DA IMPARARE
Quando si è convinti che si è compreso tutto della vita non ci si rende conto di non avere appreso proprio niente. Un giorno, tanto tempo fa, un signore, che stava recandosi in macchina nei pressi di Ficuzza, alla vista di un vecchietto curvo sul vecchio paniere intento a raccogliere funghi, si fermò e gli si avvicinò. -Buon giorno nonnino!- Disse -Come va, come va la ricerca micologica?- -Bon giornu a vossia! Ma... chi dissi, chi dissi?- -Ma niente!- Rispose quel signore al vecchietto che conosceva solo campi e boschi. E finì che, camminando accanto al vecchietto, mise in mostra il suo sapere. -Ma lo sapete- diss’egli al buon vecchietto, -a che altezza siamo al di sopra del livello del mare?- -E chi nni sacciu!- -Lo sapete quant’acqua pompano a Palermo i motori del lago di Piana degli Albanesi?- -Vossia m’addumanna cosi!...- Mentre quello continuava a tempestare di domande il vecchietto che, meravigliato, inghiottiva una dopo l’altra le tante risposte sconosciute. Fra una domanda e una risposta, finì che ognuno riempì il proprio contenitore di funghi. -Sapete- continuò con cattedratica oratoria, -io ho studiato a..., io sono stato a..., io ho visitato il...; e la distanza, la distanza che c’è fra Marte e Nettuno, la sapete? E la velocità della luce?- Finì che si fece ritorno sulla strada dove si trovava la lussuosa macchina; si salutarono: -Arrivederci! Io sono il Professore Raveri, Docente Universitario della Cattedra di Ingegneria Nucleare di Palermo.- il vecchietto, sconfortato nel non aver saputo dare una risposta, e imbarazzato davanti a tutti quei titoli, divenne più piccolo di quant’era, e sussurrò leggermente: -Iu sugnu Carminu di Marineu, a sirvilla!- Si congedano. Il vecchietto, arrivato a casa raccontò tutto quanto alla moglie Concetta, seduta a filar la lana accanto al braciere acceso. -Cuncè, ‘ngna tu l’avii di sentiri! Chi pirsuna! ‘Un c’era cosa ca nun sapiva: lu mari, li stiddi, la luna; mi dissi puru di l’acqua di lu lagu da Chiana!- -E... dimmi ‘na cosa- fece ella -ma, du funci, ci li dasti?- -‘Gna veru! Fuvu tantu pigghjiatu di li nuvità ca mi ****ava (diceva) ca nun ci jivu alla ragiuni; ma si nun sbagghjiu lu saccucceddu chinu l’avia!- -E di chi funci, di chi funci?- -Ora u vidi… iu vidia ca parrava, mi guardava e cugghjiva, ma la qualità… a diri la verità, nun la vitti propriu, comunqui dumani ci telefunu.- L’indomani il primo pensiero fu quello di telefonare; -Prontu! Parru cu la famigghia di lu dutturi Raveri?... Nun c’è?... Ah! E’ mortu?... E comu?... Cu li funci?- E posa il telefono borbottando: -Minchiuni, Cuncè, muriu! - - Muriu… cu, lu dutturi? E comu? - - Cu li funci! - - Cu li funci? E picchì nun ci li ****rullavi (hai controllati) si eranu boni, o no? - - ‘Ngna di quantu cosi sapìa, jiava a pinsari ca nun canuscia li funci?
Tintu chidd’omu ca mori pi li funci,
pirchì a stu munnu ‘un c’e cristu ca lu chianci.



Link

Dunque, questa è la storia che contiene una (o più d'una) morale interessante.
Chiederei agli amici della meravigliosa Sicilia di confermare l'esistenza (e nel caso tradurre) del detto col quale si conclude il racconto.


A presto
Andrea
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verna
Utente Senior


Città: sant'agata militello
Prov.: Messina

Regione: Sicilia


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Micologia

Inserito il - 13 ottobre 2004 : 20:25:50 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
a cù mori pì funci e pì babaluci
nissunu lu chianci.
ciao, Andrea (verna).
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